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"Correre da soli? Un'idea". Maroni apre al divorzio

A Gallarate Lega e Pdl si sfidano a colpi di insulti. Bossi è teso per l'effetto profughi, e così il ministro apre al divorzio dagli azzurri

Andrea Tempestini
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La Lega crede nella corsa solitaria. Non solo a Trieste o nei tanti comuni dove sfiderà il Pdl alle amministrative. Ci crede anche per il futuro. Lo dice senza mezzi termini Roberto Maroni, che ieri sera a Gallarate, Varese, dove il Carroccio ha stretto un accordo con una lista civica finiana pur di battere gli azzurri, annuncia: questa sfida «ci riporta alle origini e indica anche una possibile strada per il futuro». E poi: «Qualcuno vede la situazione di Gallarate come un “ritorno al futuro”. Non so se il futuro della Lega sarà questo, ma certamente a Gallarate ci sarà una sfida interessante». Frasi pesanti, che arrivano al termine di una giornata difficile per la Lega. Non solo per gli altolà dei ministri Raffaele Fitto e Giancarlo Galan alle recenti sparate di Bossi (senza di noi, è il succo dei loro ragionamenti, anche Umberto fa poca strada). A complicare la vita dei padani è piombata la grana-profughi. In 700 arriveranno nella sola Lombardia. E stime ufficiose indicano che per ognuno di loro bisognerà spendere tra i 45 e i 50 euro. Al giorno. Faccenda spinosissima che il Senatur intende affrontare a urne archiviate, sperando di non subire contraccolpi elettorali. Ieri, il leader padano ha dato la colpa alla sinistra. Dicendo che «vuole dare il voto agli immigrati» e quindi spalanca le frontiere. Di più: «È razzista verso la nostra gente». Maroni ribadisce: «La questione profughi si risolve quando finisce la guerra in Libia, sino ad allora dovremo gestire questa situazione». Un'altra frecciata al Cavaliere definito, solo poche settimane fa, «guerrafondaio» dal capo padano. In tutto questo, la Lega butta giù anche qualche previsione in vista del voto. Non ha grosse aspettative su Torino, dove in prima linea c'è il Pdl che dovrà vedersela con un big come Piero Fassino. D'altronde in Piemonte al Senatur è già riuscito il colpaccio alle recenti regionali, con l'inaspettata vittoria di Roberto Cota. Diverso il discorso per Bologna e soprattutto Milano. Sotto le due torri il Senatur immagina di poter arrivare almeno al ballottaggio, rafforzando il movimento che nel capoluogo è cresciuto meno rispetto a tutto il resto dell'Emilia Romagna. Il centrosinistra è travolto da scandali, sfortuna e gaffe: non riuscisse a centrare la vittoria al primo turno, il centrodestra potrebbe sperare in un nuovo Guazzaloca, l'ultimo eroe a espugnare il fortino della sinistra. Fari puntati su Milano. Alle ultime regionali la Lega era cresciuta e aveva incassato il 14,49% (col Pdl al 36%). Nel cuore della Lombardia Bossi fatica a sfondare dopo l'exploit di Marco Formentini negli anni Novanta. In via Bellerio sarebbero pronti a festeggiare anche con una sostanziale tenuta dei consensi, senza aspettarsi chissà quali impennate. Dovessero esserci, bene. Ma il Senatur - parlando coi fedelissimi - non ci spera più di tanto. Piuttosto vuol capire come finirà Letizia Moratti, che tra i padani non è certo al massimo della popolarità. Il premier si sta spendendo in prima persona, e sta creando malumori tra i suoi perché sta prosciugando il serbatoio delle preferenze, sempre più arido per gli altri candidati a eccezione di Roberto Lassini, salito agli onori delle cronache per i manifesti anti-pm. Bossi spera in una vittoria al primo turno, così da imporre Matteo Salvini al posto di Riccardo De Corato, braccio destro di Letizia Moratti. «Il vicesindaco sarebbe il minimo» taglia corto Maroni. Si andasse al ballottaggio, dicono in via Bellerio, tutto sarebbe molto più difficile. di Matteo Pandini

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