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Una volta trasgressivo, oggi moralista: Scalfari e le donne

Prima di 'Drive in' erano 'Espresso' e settimanali di sinistra a usare il corpo femminile contro i bigotti / BORGONOVO

Giulio Bucchi
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La donna ridotta a oggetto, la proliferazione del velinismo, lo sfruttamento del corpo, il Drago che si circonda di vergini e intende trasformare in un enorme harem l'intera componente femminile del Paese... In questi anni abbiamo sentito piovere su Berlusconi ogni genere di accuse, generalmente incentrate sul ruolo che le televisioni commerciali hanno ricoperto nei mutamenti sociali e di costume. Da quando poi si discute di bunga bunga e simili è uno stillicidio, non passa giorno che il Fatto, Repubblica o l'Espresso non ripetano la tiritera, dipingendo “Drive In” e “Striscia” come il coacervo di ogni nefandezza. Poi uno ripassa la storia e scopre che le cose non stanno proprio così. Anzi, prendendosi la briga di approfondire emerge che a diffondere per primi immagini di donne svestite allo scopo di attrarre pubblico sono stati i giornali di sinistra. La rivista Italic, un bel mensile facilmente rintracciabile in tutte le edicole, pubblica nel numero di maggio un articolo di Luigi Gariglio, il quale cura la parte fotografica della testata ma insegna anche visual studies all'Università di Torino. Si intitola “Eroticamente scorretto” e anticipa un saggio che sarà stampato in autunno dalla prestigiosa rivista Studi culturali del Mulino, dunque non un tempio del berlusconismo. Anzi, lo stesso Gariglio, parlando al telefono, ci confessa che lui non vota per il centrodestra. Tuttavia, egli non ha timore di spiegare che «non è stata la televisione a inventare un modello che molti italiani contestano. La “ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale” denunciata dagli organizzatori della manifestazione del 13 febbraio scorso è nata altrove». Dove, per l'esattezza? Sui giornali. Scrive Gariglio: «Nel 1954, quando partirono le trasmissioni del primo canale Rai, le pagine di alcuni settimanali italiani di informazione erano già un caso unico tra i Paesi occidentali. Prestigiose testate dell'epoca portavano in edicola decine di immagini di nudo femminile». Ha cominciato il Mondo di Pannunzio, grande testata a cui anche Eugenio Scalfari si vanta di aver collaborato e a cui tuttora si ispira. All'epoca, va detto, il nudo in copertina aveva una funzione di rottura, serviva ad abbattere il bigottismo e il moralismo di cui l'Italia era ancora impregnata. Per esempio, il Mondo pubblicava immagini di ballerine dei night club parigini di Pigalle in un momento in cui i locali di strip tease da noi non erano ammessi. Era una scelta coerente con lo spirito liberale della testata, lo stesso spirito che Scalfari ha in gran parte disconosciuto. Poi è arrivato l'Espresso, il quale già nei primi anni di vita (nacque nel 1955) si distingueva per le immagini di belle ragazze poco vestite. Per la sua ricerca, Gariglio ha esaminato anche varie testate straniere e spiega che sull'Espresso si potevano vedere nudi più eloquenti di quelli presenti sui numeri di Playboy dello stesso periodo. Se negli anni '50 queste immagini avevano anche un indiscutibile valore culturale, negli anni '70-'80, anche in risposta alla nascita della tivù commerciale, la spettacolarizzazione del corpo è diventata evidente. Spiega Gariglio: «I giornali si sono appropriati del corpo della donna, spettacolarizzandolo. Nelle riviste che si occupano di hard news la presenza di nudo è sei o sette volte superiore in Italia rispetto all'estero. In qualche modo, tuttavia, si parla anche molto più della donna che nei Paesi stranieri. Sulle testate straniere, per esempio, si mostrano foto di nudo femminile nelle copertine dedicate al sesso, anche se generalmente si ritrae la coppia. Da noi invece si sono utilizzati i nudi per parlare dei temi più svariati, dall'handicap al turismo, dalla medicina all'aborto. È celebre la copertina dell'Espresso con una donna nuda crocifissa a sostegno della campagna pro aborto». Il fatto è che si pensava che il nudo servisse a vendere copie in più e in effetti il pubblico rispondeva. «Bisogna riconoscere», dice Gariglio, «che ci sono stati dei mutamenti sociali. Se il pubblico non avesse gradito, non sarebbero state utilizzate immagini di questo tipo». Anche Panorama, all'epoca schierato a sinistra, sfruttava questa tecnica. Italic per esempio pubblica una copertina dedicata al darwinismo, che ritrae una donna in topless abbracciata a una scimmia. L'anno è il 1981, dunque il berlusconismo era ancora lontanissimo. Lungi da noi qualsiasi sentimento di condanna, anzi: le foto di professionisti come Mauro Vallinotto, il quale ha realizzato circa 150 copertine, per l'Espresso e Panorama in quell'epoca, sono capolavori. Però non si può negare che la donna nuda servisse a fare cassa, anche se ammantata di una patina culturale. Se negli anni Cinquanta il corpo ben esposto sfidava le convenzioni, negli anni successivi tutto si è ridotto a una questione di copie vendute. «Si dà per scontato che sia stata la televisione commerciale a utilizzare per prima l'elemento del corpo femminile», spiega Gariglio, «ma non è così». Senza dimenticare che l'evoluzione del costume nel nostro Paese è stata favorita anche da questo genere di scelte, che oggi vengono rinfacciate da gran parte della stampa progressiva al “satiro” Berlusconi. Le belle fanciulle di “Striscia” e “Drive In”, in sostanza, non hanno inaugurato un epoca di sfruttamento delle grazie femminili, semplicemente hanno applicato al piccolo schermo quella rivoluzione che l'Espresso, Mondo e Panorama avevano imposto alla carta stampata. Eppure oggi il giornale che fu di Scalfari è in prima linea nel denunciare lo sfruttamento del sesso che il Cavaliere avrebbe imposto ai suoi programmi. La prossima volta che Scalfari intende scrivere di bunga bunga e di manipolazione del corpo femminile, magari può andarsi a rivedere prima la copertine del suo Espresso, così, tanto per ammettere che le Veline piacevano anche a lui. di Francesco Borgonovo

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