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L'idea che piace a Giulio: sarà lui il vice-premier?

Tremonti è tentato dal ruolo di numero due. Ma intanto non molla sui conti pubblici. Niente sforbiciata fiscale

Andrea Tempestini
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L'idea di prendere i galloni da vicepremier lo stuzzica. Tuttavia Giulio Tremonti non si fida. Il ministro dell'Economia sa  che la promozione a numero due  del governo  nasconde parecchie insidie. Ecco perché cerca consensi, sonda il terreno: si confronta con tutti e in particolare fuori del mondo politico. Tremonti probabilmente vuole evitare di trovarsi troppo esposto, specie quando, di qui  a breve, tornerà a ribadire che - conti pubblici alla mano - la riforma del fisco è possibile, ma solo a saldo zero. Insomma, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi dovranno rassegnarsi: nessun taglio delle tasse è possibile. Per ora, si dice nei corridoi di via Venti Settembre, restano valide le bozze messe a punto nei quattro tavoli di lavoro tecnici. Il cantiere è aperto, ma la linea di Tremonti è netta: nonostante l'invito arrivato financo dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi le aliquote tributarie non si toccano. Non ci sono spazi e la linea del rigore prevale su tutto. Si lavora, dunque, solo sul fronte delle semplificazioni, aggredendo in particolare la giungla delle agevolazioni e con alcune razionalizzazioni sull'impianto normativo. Di là dal dossier fisco, l'ipotesi di diventare il vice del Cavaliere a palazzo Chigi - ovviamente senza abbandonare   via Venti Settembre - è nell'agenda del ministro. Del resto, la promozione lo porterebbe in pole position nella corsa per la successione al Cavaliere e servirebbe a stabilizzare i rapporti politici nell'esecutivo. Così ieri, secondo quanto riferito da ambienti sindacali, Tremonti ne avrebbe parlato con Raffele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil). I pareri dei sindacalisti sono rilevanti e il ministro cerca sponde ovunque.  Dopo la batosta elettorale è finito nel mirino del Popolo delle libertà e della Lega, indicato come il colpevole principale della debacle del centrodestra. La tesi è che il titolare dell'Economia abbia da un lato imposto una cura dimagrante ai conti pubblici troppo severa e dall'altra che non abbia rispettato le priorità dettate nell'agenda di governo.  Ma i malumori nel partito e nella maggioranza non lo scalfiscono. Chi lo ha incontrato ieri rivela che Tremonti  non ha avuto reazioni scomposte   nemmeno di fronte alla nomina di Angelino Alfano alla segreteria del Pdl.   La sua posizione, peraltro,  resta blindata: i mercati finanziari internazionali non tollererebbero avvicendamenti. L'Italia correrebbe il rischio di finire nella tagliola delle agenzie di rating, con pesanti ricadute sugli interessi dei titoli di Stato e quindi sul debito pubblico, già oltre quota 1.800 miliardi di euro. Ecco perché  il calendario assai fitto delle aste di Bot e Cct di fatto lega le mani al premier Berlusconi. Senza dimenticare che va messa a punto in pochi giorni la manovra.  Si tratta delle misure, necessarie a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014 e a Tremonti  tocca ora il non facile incarico di reperire i 40 miliardi di euro necessari a centrare l'obiettivo in  2 anni. La bozza va completata prima dell'Ecofin del 20 giugno e poi portata  a Bruxelles. Pure i vincoli Ue giocano contro il Cavaliere  e le sue speranze di tagliare le tasse. La strada è stretta. Messi ulteriormente al riparo i conti si passerà al fisco con la possibile presentazione di un disegno di legge delega che poi si sostanzierà in diversi decreti delegati per  iniziare a intervenire già nel 2012 e portare l'intervento a compimento a fine legislatura. Tra le ipotesi sul campo per reperire risorse, l'aumento dell'Iva, un ulteriore inasprimento della  lotta all'evasione e l'adeguamento a 65 anni per il pensionamento delle donne anche nel settore privato (misura che varrebbe 1 miliardo l'anno).     di Francesco De Dominicis

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