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I Beatles tornano in Italia, ma McCartney dà buca a Ringo

Starr farà una serie di concerti e dice di Paul: "Gli ho detto vieni a suonare con me, ma lui era troppo occupato".

Rosa Sirico
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Il suo personalissimo “Sliding doors”, inteso come l'attimo che stravolge una vita facendola andare in una direzione invece che nell'altra, l'ha vissuto in un giorno lontano del 1962. Aveva 22 anni e quel momento ha cambiato per sempre la vita a Richard Starkey, all'epoca batterista di un gruppo semi sconosciuto, gli Hurricanes. Tre ragazzi di Liverpool, alle soglie della celebrità, si presentarono in camerino: «Ehi, Ric, ti va di venire a suonare con noi?». Lui non ci pensò su un secondo. Così, poche settimane prima di diventare leggenda, i Beatles cambiarono il batterista: via Pete Best, dentro quel nasuto drummer, liverpooliano come erano i tre che lo avevano arruolato: John Lennon, Paul McCartney e George Harrison. Con l'innesto di Richard Starkey, divenuto celebre con il nome di Ringo Starr, tutto ebbe inizio. Grazie anche a lui, ritenuto la personalità meno forte del quartetto. In realtà un perfetto equilibratore equilibrato in quella band di geni. Mezzo secolo dopo, magro, stesso naso sotto una maldestra zazzera tinta, Ringo rispunta per presentare l'All Starr Band Tour 2011. Una serie di concerti che terrà in compagnia di Edgar Winter, Gary Wright, Rick Derringer, Richard Page, Wally Palmar e Gregg Bissonette, toccando Milano e Roma (3 e 4 luglio) nell'ambito del Jazz Fest. «Sono entusiasta di venire in Italia. Ci torno dopo 19 anni per essere Ringo, non solo l'ex Beatle anche se non potrò esimermi dal suonare hit come “Boys” o “With a little help from my friends”. O come “Yellow Submarine”. La gente vuole sentire quei pezzi», dice. A Milano suonerà all'Arena Civica: «Con i Beatles venni nel 1965, ricordo un concerto pomeridiano in un velodromo (il Vigorelli ndr). All'epoca si usava tenere show sotto il sole. McCartney? Non penso mi verrà a trovare sul palco anche se gli avevo chiesto di suonare un paio di brani. Lui è preso dal suo, di tour. E dai preparativi del matrimonio, al quale non mancherò». Ringo sorride: «Dopo la morte di Lennon, eravamo rimasti in tre, io Paul e George. Harrison aveva un senso dell'humour tipicamente di Liverpool. Una volta gli dissi: Sir Paul non ha mai tempo, e poi è taccagno: mi ha detto che vuole tutti i soldi degli incassi. Vieni almeno tu a suonare con me? E George: mmm, non penso tu abbia abbastanza soldi per il mio, di cachet! Era un grande!». Poi Ringo si fa serio: «Quando quei tre mi aggregarono alla band, 50 anni fa, avevano bisogno di un drummer all'altezza. All'epoca suonavo per Rory Storm e gli Hurricanes. Ero il miglior batterista di Liverpool, più popolare di John, Paul e George. Non sono mai stato un virtuoso ma chi ha suonato con me ha sempre apprezzato il timing che dò alla batteria. Con i Beatles ho toccato il tetto del mondo, ci siamo divertiti, abbiamo fatto cose incredibili e siamo sopravvissuti, dal 1962 al 1970, quando abbiamo preso strade separate, a tante cose. Litigi tra noi? Come tra fratelli. Una notte, durante una registrazione del White Album, la tensione era a tal punto pesante che abbandonai lo studio di registrazione, andai a casa. Tornai qualche giorno dopo e, accomodandomi alla batteria, mi accorsi che era ricoperta di fiori sui quali c'era un biglietto con tre firme: Welcome Ringo! Era sempre così. Si litigava, poi facevamo pace». di Leonardo Iannacci

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