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Se tra Umberto e il Cavaliere chi vince è Tremonti

Il ministro non cede: no a sforbiciata fiscale. Silenzio anche sul vicepremier / ZULIN

Andrea Tempestini
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Non passerà alla storia il vertice di ieri ad Arcore. Giulio Tremonti ha messo sul tavolo troppi “no” per sperare in un'azione di rilancio immediata, almeno sul fronte tasse. Se ne riparlerà nel 2012. Un veto che - a tratti - ha fatto scaldare anche l'amico Umberto Bossi, allineato alla posizione di Silvio Berlusconi: bisogna aprire i cordoni della borsa per sperare di rivincere le elezioni. Il Senatur però non vuole mollare la presa, anche perché fra due domeniche c'è Pontida. E così si è accontentato di una promessa, suggellata dalla presenza del neo segretario del Pdl, Angelino Alfano: dovrebbero essere creati  uffici di rappresentanza «altamente operativi» di alcuni ministeri. Qualcosa insomma si muoverà da Roma e questa volta Gianni Alemanno, sindaco della Capitale, si è detto possibilista: «Non sarebbe nemmeno una straordinaria novità, l'importante è che sede e titolarità dei ministeri restino a Roma». Il tema chiave resta comunque quello fiscale. «C'è stata solo una discussione generale», ha fatto sapere Alfano: «È confermato l'obiettivo del pareggio di bilancio per il 2014 e quindi tutto andrà fatto secondo i tempi previsti e i vincoli che l'Unione Europea ci assegna». Parole molto istituzionali che hanno fatto pensare a  una discussione molto animata, dove il Senatur si è alleato col premier per tentare di far cedere Tremonti. Il ministro dell'Economia però ha spiegato con molta crudezza che difficilmente si riuscirà ad evitare il default della Grecia da qui a fine anno e che la cosa più importante in questo momento, con un notevole stock di debito pubblico italiano da rinnovare, è quella di dare un segnale chiaro e univoco ai mercati sui conti pubblici. Altrimenti invece di fare la riforma fiscale si rischia di allargare l'entità della manovra triennale da 40 miliardi già annunciata per pagare gli interessi crescenti sul debito pubblico. A quel punto il Senatur e Berlusconi hanno alzato la voce e alla fine si è arrivati a un compromesso: si farà un disegno di legge delega  - ipotesi confermata anche a Via XX settembre - con interventi a partire da gennaio 2012, tenendo conto delle proposte emerse ai tavoli della riforma fiscale (vedasi Libero di domenica) sia sui tagli alla spesa secondo la fotografia scattata da Piero Giarda, sia sullo scambio fra riduzione di aliquote e incentivi fiscali. Alfano ha poi spiegato che «l'obiettivo della squadra che insieme ha governato bene il Paese è quello di completare il programma arrivando alla conclusione della legislatura nel 2013». In effetti l'accanimento del ministro delle Riforme alla voce tasse lascia presagire che non c'è alternativa a questa maggioranza. Tradotto: finché Berlusconi resterà a Palazzo Chigi, il Senatur rimarrà alleato. Ne ha discusso anche con i suoi colonnelli in via Bellerio, di ritorno dal vertice di Arcore, ma alternative non ne sono emerse. Il Senatur non è sicuro che l'elettorato padano capirebbe un cambio di campo. Prima piuttosto c'è da «ristrutturare il partito», il Carroccio. Ed è meglio sistemarlo stando al governo. A proposito di governo. Ultima questione: le nomine in vista della verifica in Parlamento, come chiesto dal presidente della Repubblica. Il vicepremier? «Non ne abbiamo parlato», ha concluso il segretario del Pdl. Così come non si è affrontato il tema del nuovo Guardasigilli, qualora Alfano lasciasse il ministero di via Arenula: quella è una poltrona che deciderà il Cavaliere senza consultazioni. di Giuliano Zulin

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