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Urne, scelta apolitica? Balle. Usano i sì per abrogare il Cav

Dopo lo scontato via libera della Consulta il quesito nucleare serve soltanto a colpire il governo e Berlusconi / CARIOTI

Andrea Tempestini
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Occhio che c'è il trucco. Un coro unanime, dal Corriere della Sera ai giornali di tante diocesi, passando per Antonio Di Pietro e il Quirinale, invita tutti gli elettori ad andare a votare sull'acqua, sul nucleare e su ciò che resta del legittimo impedimento. Ma pochi hanno il coraggio di dire che, se il quorum sarà raggiunto, lunedì sera quel voto si abbatterà come il giudizio divino su Silvio Berlusconi e il suo governo. Stavolta il Cavaliere ha davanti avversari ben più insidiosi della Corte costituzionale, che pure ieri ha dato l'ultimo via libera al referendum sull'energia atomica. Con scelta comprensibile, ma alquanto timorosa, il presidente del Consiglio ha lasciato libertà di voto ai propri elettori. Non è un mistero che Berlusconi e il Pdl puntino sul mancato raggiungimento del quorum, anche se la linea ufficiale è che la consultazione non avrà comunque risvolti politici. L'esito dei referendum «non ha nulla a che vedere con il governo», ha messo le mani avanti il primo ministro. Dopo le mazzate di Milano e Napoli, un'altra botta potrebbe essergli fatale. I suoi rivali mirano proprio a questo. E siccome l'incognita non riguarda il risultato del voto (ovvio che vinceranno i favorevoli all'abrogazione delle norme, motivatissimi e militarizzati), ma il raggiungimento del quorum del 50% previsto dalla Costituzione per rendere validi i referendum, lo scopo è convincere gli italiani ad andare ai seggi. Tutti gli italiani, inclusi quelli di centrodestra. Così si moltiplicano gli appelli fintamente neutrali: votiamo qualunque sia la nostra idea, contarsi sarà bello e democratico. Tipo quello apparso ieri nell'editoriale del Corriere della Sera, dove si motivava la chiamata alle urne con la necessità «di salvare uno strumento di partecipazione che, dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995, non possiamo più permetterci di mandare a vuoto». Argomento bislacco: se l'istituto referendario ha collezionato tante figuracce è evidente che deve essere rivisto, e comunque quell'editoriale stava bene attento a non ricordare che dai referendum dipende la tenuta dell'esecutivo. Almeno il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ha avuto l'onestà di dire che il voto di domenica e lunedì serve per dare «il colpo da ko» a Berlusconi. La campagna giovanilista del suo quotidiano, che pubblicizza i buoni-sconto per i concerti, riservati a chi ha votato i referendum («e lo devi dimostrare con la tessera elettorale timbrata»), serve proprio a indurre il popolo degli happening estivi, con l'esca del concertino a sbafo, a dare la spallata al Nemico. Pure Antonio Di Pietro pensa ai quesiti come a una pistola per liquidare Berlusconi. Fino una settimana fa il leader dell'Idv assicurava che «con i referendum del 12 e 13 giugno, con quattro “sì”, i cittadini potranno mandare a casa l'esecutivo e andare alle elezioni». Poi qualcuno deve avergli spiegato che se va in giro a dire queste cose gli elettori di centrodestra non votano e addio quorum. Così, da un giorno all'altro, Di Pietro ha cambiato versione. Ora dice che «se dovessero vincere i “sì” non chiederemo un voto di fiducia su Berlusconi, perché i temi sul tappeto interessano tutti. Sarà una vittoria di tutti coloro che sono andati a votare». Doppia capriola con avvitamento. Tonino sembra comunque un titano della coerenza se messo accanto a Pier Luigi Bersani. Il quale, racconta su queste pagine Elisa Calessi, a novembre, in polemica con i referendum, aveva presentato una proposta di legge per «il governo delle risorse idriche», che prevedeva anche la gestione dell'acqua da parte dei privati. Pure lui, povera anima, si è dovuto rimangiare ogni cosa. Assieme al Corriere, a Repubblica e agli avversari dell'esecutivo si muove la galassia delle associazioni cattoliche vicine alla sinistra. A colpi di citazioni bibliche Azione cattolica, Acli e Pax Christi stanno facendo campagna per votare «sì» ai referendum, mentre sui giornali di certe diocesi si leggono appelli al voto che, quanto ad astio nei confronti del governo, non sfigurerebbero su Repubblica. L'eccezione, non da poco, è Avvenire: il quotidiano della Cei ha invitato i promotori dei quesiti a evitare «il generico appello a un voto impropriamente caricato di significati politici» e ha ricordato che in occasione dei referendum il voto «non viene considerato un dovere civico, come lo è invece quando si tratta di eleggere istituzioni rappresentative della volontà popolare». Questo è un punto cruciale. Perché, pur di far andare la gente ai seggi, la sinistra sta dipingendo chi non vota come un cittadino a metà. Aiutata in questo da Giorgio Napolitano, il quale ha spiegato che lui voterà, poiché è «un elettore che fa sempre il suo dovere». In realtà i padri della Costituzione, prevedendo l'obbligo del quorum, hanno reso l'astensione ai referendum un'espressione della volontà dell'elettore legittima e dignitosa tanto quanto il voto. Ma questo è uno dei casi in cui la sinistra preferisce “interpretare” la Costituzione, piuttosto che leggerla. di Fausto Carioti

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