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"Ha assassinato lui Melania": Parolisi e le sue bugie/C.LODI

L'uomo è indagato per omicidio volontario, ma resta a piede libero. I genitori della Rea si costituiscono parte civile

Andrea Tempestini
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Se è vero che è stato lui, come gli inquirenti credono, Salvatore Parolisi è tornato sul luogo del delitto. Per accoltellare Melania anche da morta. E depistare, lasciando credere che l'assassino fosse un lupo e non sembrasse un agnello. Chi indaga ne è convinto ed è pronto a esibire le prove. Il vedovo lo avrebbe fatto mentre un esercito di uomini cercava la sua bellissima e giovane moglie sui Colli di San Marco, dove lui ha raccontato di averla vista allontanarsi senza più tornare, il 18 aprile scorso. Una battuta tempestiva ma inutile, quella delle forze dell'ordine di Ascoli Piceno, a cui però il vedovo finito sotto accusa non ha voluto partecipare. Assolutamente. Un comportamento sinistro, come quella irrefrenabile abitudine di tornare con insistenza sui luoghi che scottano, forse per aggiustare le cose. L'ultima volta il 10 giugno, convincendo la Procura ascolana a iscriverlo nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio volontario e aggravato dal vincolo matrimoniale. Salvatore Parolisi era tornato nel campetto sportivo di Villa Pigna, vicino a Folignano dove abitava con Melania e la piccola Vittoria, e lì ha verificato che ci fosse ancora  il telefonino “segreto”; quello che, per sua stessa ammissione, adoperava soltanto per telefonare all'amante Ludovica. Lo ha pizzicato un testimone, che dice di averlo visto chinarsi e raccogliere un involucro rosso. In quel sacchetto c'era l'apparecchio. Salvatore, dopo l'ennesima bugia: «Sono andato in quel campo per raccogliere un fiore in ricordo di mia moglie», ha infine ammesso: «Sì, sono tornato a controllare se in quel campo ci fosse  ancora il telefono che adoperavo per chiamare Ludovica, e di cui Melania non sapeva nulla». Ma come? Salvatore Parolisi ha sempre dichiarato agli investigatori, che conoscono il traffico in entrata e in un uscita di quell'apparecchio, di averlo buttato nell'immondizia subito dopo il ritrovamento del corpo della moglie.  Quel telefono è nei laboratori del Ris di Roma, col sacchetto rosso che lo avvolgeva. Reperti importantissimi, perché chi indaga è convinto possano portare impressi proprio il Dna di Melania. Venerdì, alle 16 e 30, Salvatore Parolisi sarà interrogato come indagato e non più come testimone, è quindi sua facoltà (come lo è per la famiglia di Melania che si è costituita parte civile) avvalersi della presenza di un consulente durante l'esame irripetibile di quel telefono. Il caporalmaggiore Parolisi, assistito dagli avvocati Nicodemo Gentile e Valter Biscotti, ha nominato il professore Lorenzo Varetto. Se su quel cellulare “segreto”, come si sospetta, dovessero esserci tracce di Melania, Salvatore Parolisi dovrà darne conto. Intanto il pm Umberto Monti ha preparato una sfilza di contestazioni a cui il soldato dovrà rispondere dopodomani. Il grosso potrebbe arrivare da almeno trenta testimonianze, concordanti e incontrovertibili, che dicono di averlo visto sul colle (dove lui dice di essere arrivato con la moglie e la figlia di 18 mesi alle 14 e 30), non prima delle 15 e 23. «Era solo e teneva in braccio la piccola», confermano tutti. Come non bastasse, cinque ragazzini ascoltati in questi giorni e che si trovavano esattamente nel luogo dove Salvatore Parolisi dice di essersi fermato a dondolare  Vittoria sull'altalena, alle 14 e 30, confermano in coro che «le altalene erano vuote». Incrociando i risultati degli esami medico legali: Melania accoltellata dopo la morte e il marito che non va a cercarla, né a riconoscerne il corpo senza vita. «Perché non se la sente», e poi le celle telefoniche, i test sui reperti esaminati dai carabinieri del Ris e le decine e decine di testimonianze verbalizzate fra chi il 18 pomeriggio si trovava a Colle San Marco, la Procura si è convinta a procedere con l'accusa di omicidio nei confronti del vedovo. Evidentemente lui, da quelle 23 ore di interrogatorio (durante le quali è stato sentito come persona informata sui fatti), non è uscito indenne. Ci sono molte contraddizioni. Alcune fatali, tanto da convincere i sostituti procuratori Umberto Monti, Carmine Pirozzoli, Cinzia Piccioni e Ettore Picardi a firmare l'iscrizione nel registro degli indagati. La famiglia di Melania Rea, saputa la notizia, prende formalmente le distanze. E lo fa per la prima nei confronti di quel giovane  di 32 anni, considerato un figlio, e fin da subito sospettato di essere l'assassino della loro figlia. Assistita dall'avvocato Mauro Giommi, la famiglia Rea si è costituita parte civile. «Sono sorpreso, non me l'aspettavo. Aspetto di capire», mormora papà Gennaro. Dolore e contegno: in questi mesi, Parolisi ha continuato a frequentare  la casa dei suoceri; soprattutto per la piccola Vittoria accudita dai nonni materni. Il fratello Michele ha alzato un muro invalicabile: «Ha tradito mia sorella. Ha mentito. Penso possa anche averla uccisa». L'atto d'accusa della Procura ha cambiato le cose: «Ha aggiunto dolore al dolore e adesso aspettiamo verità e giustizia», piange mamma Vittoria. Il nome uguale a quello della piccola, che cerca la mamma e piange perché lei non torna. di Cristiana Lodi

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