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Cassazione in soccorso al macho: "Vantarsi non è un reato"

La Suprema Corte assolve un muratore che parlò dei suoi incontri con due sorelle: "Non c'è diffamazione se si è discreti"

Rosa Sirico
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E la Cassazione va in soccorso del macho italico. Vantarsi delle prestazioni sessuali non è reato: basta essere un po' discreti e non far capire di chi si parla. Avanti tutta maschietti, quindi, a vanterie da bar e spacconate tra amici perchè il pericolo querela non è più così dietro l'angolo.     La vicenda - La V sezione penale si pronunciata, infatti, a favore di un muratore 47enne, condannato dal giudice di pace per diffamazione aggravata, per avere raccontato nel corso di una cena di un menage à trois, di  aver "unito l'utile al dilettevole" intrattenendo con due sorelle - conosciute presso il cantiere in cui lavorava - "rapporti sessuali a tre". Peccato che però al tavolo fosse seduto anche un parente delle signore che ha subito sporto querela. Il giudice di Pace di Brunico, il 15 aprile 2010, non aveva avuto dubbi nel condannare l'imputato per diffamazione aggravata. Contro questa decisione, il muratore si è rivolto alla Cassazione, facendo notare che l'offesa alle persone non era stata sentita dalle dirette interessate, che aveva omesso inoltre il cognome e il luogo degli incontri. Discrezioni, queste, che lo avrebbero tutelato dalla querela.  L'assoluzione -  La tesi difensiva ha fatto breccia tra i magistrati di piazza Cavour. In particolare, la Suprema Corte, in via generale, chiarisce che "in tema di delitti contro l'onore, l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone". La diffamazione, poi, sussiste solo nel caso in cui "le persone cui le frasi si riferiscono" siano "individuabili".

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