Stati Uniti, sì ai videogiochi: anche a quelli più 'splatter'

Andrea Tempestini

Proibire la vendita di videogiochi violenti - anche quelli che superano i limiti della decenza - rappresenta una limitazione della libertà di espressione: lo ha stabilito la Corte suprema degli Stati Uniti, che ha bocciato una legge della California che vietava la vendita o il noleggio di videogame violenti ai minorenni, giudicandola lesiva del diritto alla libertà di espressione sancito dalla Costituzione.  Il verdetto, il primo della Corte su un caso relativo ai giochi virtuali, è arrivato con sette voti favorevoli e due contrari. La norma impugnata - La legge sui videogiochi, approvata dalla California nel 2005, era stata subito impugnata da editori, distributori e venditori, inclusa la Entertainment Software Association, a cui appartengono colossi come Disney Interactive Studios, Electronic Arts, Microsoft Corp e Sony Computer Entertainment America. Nella norma si definisce violento qualunque videogioco che rappresenti "uccisioni, mutilazioni, smembramenti o aggressioni sessuali contro un’immagine dalle sembianze umane", e sono previste multe per venditori e noleggiatori fino a mille dollari, oltre all’obbligo di etichettatura.   La 'ratio' della Corte - Nella sua sentenza, la Corte ha accolto la tesi secondo cui anche i videogame sono veicoli di messaggi e idee sociali, che ricadono quindi sotto la tutela del Primo emendamento. "Il governo non ha il potere di limitare le idee alle quali i minori possono essere esposti", ha dichiarato il giudice Antonin Scalia. Secondo le stime più recenti, l’industria dei giochi virtuali ha un fatturato annuale di circa 10,5 miliardi di dollari.