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Cav: "Se muoio non è finita" C'è Alfano. Ma ce la farà?

Premier incorona Angelino e poi si lascia andare: "Posso morire tranquillo". Due le partite per il Guardasigilli. Urne comprese

Andrea Tempestini
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La fase due del Pdl inizia con gli applausi. Angelino Alfano eletto segretario del partito praticamente per acclamazione, con Silvio Berlusconi che gli alza il braccio in segno di vittoria e, a un certo punto, sembra dargli una carezza. La fase due del Pdl è accolta dalla platea del consiglio nazionale con sorrisi, strette di mano e pacche sulle spalle: gli scontenti – che pure esistono e rispondono a nomi di peso come quello del sindaco di Roma Gianni Alemanno o dell'ex ministro Claudio Scajola – fanno buon viso e rimandano le ostilità a data da destinarsi. La fase due del Pdl è salutata con toni concilianti persino dall'opposizione (e se a farlo è Pier Ferdinando Casini è un conto, ma se persino Tonino Di Pietro parla di “rispetto per Alfano” allora la faccenda è grossa). Il più commosso era proprio il Cavaliere: un misto di emozione, malinconia e amarezza. La testa di Berlusconi era attraversata da sensazioni contrastanti: "E' come quando ho fatto un passo indietro in Mediaset lasciando a Marina e Pier Silvio", ha spiegato. Silvio era malinconico: vedeva calare il sipario sulla sua parabola politica. Qualcuno gli ha sentito dire una frase totalmente inaspettata: "Se mi succede qualcosa, se muoio, non finisce tutto con me". Pazzesco, sentire l'uomo che vuol vivere fino a 120 anni di morte. Però adesso c'è Alfano. Il premier, per Angelino, ha in testa uno schema: vuol esserne il padre nobile alle prossime elezioni politiche, per poi lasciare Palazzo Chigi (e magari spalancare i cancelli del Quirinale a Gianni Letta). Di delfini, Silvio Berlusconi, nella sua carriera ne ha spiaggiati tanti. Ma per Angelino Alfano la storia è diversa: tra lacrime e pensieri funerei, è stato incoronato niente meno che dal grande capo. Adesso la palla è in mano al Guardasigilli. Che, almeno in teoria, è il  solo ad avere in mano le chiavi del partito. E, l'Uomo ragno insegna, con grandi poteri vengono grandi responsabilità. Responsabilità che, nell'immediato, presentano al neosegretario due sfide. Peraltro speculari. La prima sfida è quella relativa al partito. Perché sotto i sorrisoni sfoggiati all'Auditorium della Conciliazione (mai nome fu più appropriato) covano sentimenti assai meno pacifici. E Alfano ha mostrato di averlo capito alla perfezione: l'affondo contro le liste Coca Cola (ogni riferimento all'esperimento di Renata Polverini è puramente non casuale) lo dimostra. Col riferimento all'anarchia che regna in diverse zone del Pdl, Alfano intende mandare un messaggio a uso interno: il Pdl non è la Jugoslavia e Berlusconi non è il maresciallo Tito. Se c'è qualcuno che pensa di sfruttare il momento attuale per tentare volate in solitaria, sappia che non avrà vita facile. La seconda sfida è, invece, rivolta all'esterno. Al centro, più precisamente. Perché Alfano, formazione democristiana e solide credenziali di moderato, è chiamato ad attuare la strategia dell'attenzione nei confronti del terzo polo. E terzo polo significa Udc. Non è un mistero che il Guardasigilli a via Due macelli goda di stima sconosciuta al resto del vertice del Pdl, e c'è chi giura che la pregiudiziale antiberlusconiana che fino ad ora ha tenuto il partito di Pier Ferdinando Casini all'opposizione risulti parecchio – forse fatalmente – indebolita dall'insediamento di Alfano. E, in prospettiva 2013, la partita dell'allargamento al centro della coalizione è vitale. Il programma è vasto quanto ambizioso. Vero, Berlusconi ha scelto l'unica persona che ritiene avere le spalle abbastanza larghe per portarlo a termine. Un paio di mesi, complice l'estate, per il rodaggio. Solo dopo si capirà se il Cavaliere avrà vinto l'ennesima scommessa.

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