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Cirio, Cragnotti e Geronzi colpevoli per la bancarotta

Il processo del colosso agroalimentare. Nove anni all'ex patron e quattro al banchiere. Viene assolto Giampiero Fiorani

Andrea Tempestini
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Condanne quasi dimezzate rispetto alla richiesta dei pm: nove anni di reclusione per Sergio Cragnotti, quattro anni per Cesare Geronzi. Questa la sentenza  emessa dai giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, ieri, a conclusione del processo sul crac del gruppo Cirio da oltre un miliardo di euro. Sono stati condannati anche il genero e i figli di Cragnotti.  In particolare, al genero Filippo Fucile sono stati inflitti 4 anni e   sei mesi di reclusione. Quattro anni anche per Andrea Cragnotti. Mentre sono stati condannati a 3 anni di reclusione gli altri due   figli del patron del colosso dell'industria alimentare Elisabetta e Massimo. Assolto Giampiero Fiorani, ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, e la moglie di Cragnotti, Flora Pizzichemi, per «non aver commesso il fatto». Il pm, lo scorso 2 marzo, aveva chiesto 15 anni per Cragnotti e 8 per il banchiere di Marino. Ieri, dunque, la pronuncia dei giudici con lo sconto.   La storia  - si leggeva  nella requisitoria dei pm - è «caratterizzata da un giro imponente di operazioni finanziarie, le quali hanno generato entità ingenti di crediti» tra i vari gruppi. Operazioni finanziarie in cui «sia la destinazione delle somme trasferite» ad altre società, «sia la gestione e la sorte dei crediti generati, resta misteriosa e non ricostruibile in termini di certezza». A capo di tutto il «dominus»  Cragnotti, «motore di tutte le operazioni». Dal canto suo Geronzi si è detto tranquillo: «Continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell'ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata». Quella vicenda comunque aveva messo al tappeto decine di migliaia di risparmiatori.  Le associazioni dei consumatori stimano in almeno 35mila gli italiani coinvolti e finita in   default nel 2002 per il mancato pagamento delle cedole sulle obbligazioni da 1,2 miliardi di euro e poi dichiarata fallita nel 2003. Ora i colpevoli, insieme con Unicredit dovranno versare un risarcimento di 200 milioni di euro in via provvisionale all'amministrazione straordinaria del gruppo. Il gruppo Cirio , infatti, possedeva  alla fine del 1999 un debito superiore al miliardo di euro, di cui l'85% verso le banche.  A questo punto il gruppo decise di procedere a una serie di emissioni obbligazionarie (da 1,25 miliardi).  Un colpo di mano, che consente all'indebitamento di rimanere stabile. Tuttavia  il debito delle banche passa dagli oltre 870 milioni di fine 1999 ai 335 milioni del 2002 e si sposta così  verso gli obbligazionisti. Grazie al sostegno degli istituti e in particolare Banca di Roma, all'epoca presieduta da Geronzi. Per quanto riguarda il ruolo dell'istituto, i magistrati della procura della Capitale l'avevano definito come «l'appoggio del gruppo Cirio. Le scelte di Cragnotti erano sempre  condivise con i funzionari della banca». Quanto al crac, i problemi erano cominciati ad affiore un po' prima del 2002. Già nel 2001 le attività  del gruppo non riuscivano a creare cash flow per coprire degli interessi sui bond messi. Per cui si  fece ricorso a nuovo debito. L'allarme rosso scatta l'8 novembre 2002, quando   arriva l'insolvenza del bond da 150 milioni. Un tentativo di salvataggio degli advisor Livolsi e Rotschild fu bocciato dall'assemblea degli obbligazionisti nel luglio 2003 e a settembre partì l'amministrazione straordinaria. di Francesco De Dominicis

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