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Lombardo ascolta Belpietro: "In Sicilia le chiudo subito"

Il governatore accelera contro gli sprechi: "Province superflue. Ma ci serve una legge apposta per eliminarle" / SCAGLIA

Giulio Bucchi
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Presidente Lombardo,  ma allora fa sul serio? «In che senso, scusi?». L'abolizione delle Province, perlomeno in Sicilia (dove sono nove). Ha ribadito la sua intenzione anche l'altro giorno, quando la Camera ha invece affossato il provvedimento. «Guardi, in questo momento ho davanti a me la relazione introduttiva proprio del disegno di legge. Anche perché noi, nella Sicilia a statuto speciale, abbiamo la competenza diretta sull'ordinamento dei nostri enti locali. Dunque possiamo farlo». E poi questa cosa è prevista addirittura nel vostro Statuto costitutivo, quello del '46. «È così. All'articolo 25 si dispone di sostituire le Province con  consorzi di Comuni. Ed è in questa direzione che andremo, gliel'assicuro». Ma non è che va a finire che semplicemente sarà cambiato nome all'ente? «Eh no, non ho certo intenzione di istituire altri presidenti e assessori e via dicendo, di replicare la medesima struttura. Sarebbe una presa in giro. I consorzi saranno guidati da uno dei sindaci dei municipi coinvolti, e saranno razionalizzati i servizi. I servizi provinciali e, alla fine, anche quelli comunali». In che senso? «Non vedo perché Palermo, con i suoi quasi 700mila abitanti, abbia un comandante dei vigili e un capo dell'ufficio tecnico, e poi magari diciotto Comuni che non arrivano a un decimo della sua dimensione contino ognuno un'altra figura del genere. No, qui bisogna tagliare e decentrare. Ecco, la parola chiave è de-cen-tra-re». Anche perché, insomma, la Sicilia non è che negli anni si sia distinta per razionalizzazione di costi e di personale. «Ma sì, ma sarà anche vero. E però qualche merito dovreste riconoscermelo». Tipo? «Bé, insomma, con la mia legge del 2008, quella che ha di fatto bloccato le assunzioni, il comparto regionale passerà in dieci anni dagli attuali 16mila dipendenti a duemila. E fate conto che, indirettamente, le persone che lavorano per la Regione sono svariate decine di migliaia. Ma stiamo lavorando». Ecco, torniamo all'abolizione delle Province siciliane. «Gliel'ho detto, la parola è decentramento, compare anche nel titolo del disegno di legge. Io ho poco da semplificare burocraticamente se la sede centrale dell'ente è distante anche 200 chilometri dal paesino. Con i consorzi di Comuni questa situazione cambierà». Cambierà? Davvero? «Ma sì, che cambierà. Gli utenti potranno tornare a contatto diretto e quotidiano con gli amministratori, non gli potrà più venir risposto “devo chiedere, devo vedere, ripassate” e poi passa chissà quanto tempo. Il cittadino potrà tornare il giorno dopo, ed eventualmente prendere a calci nel sedere il funzionario». Addirittura? «Voglio dire che tornerà un rapporto diretto e costante fra cittadini e amministratori. Negli enti provinciali questa cosa si è persa». Ma per dire: il Pd, uno dei partiti fondamentali per il sostegno alla sua giunta. Ecco, non s'è dimostrato molto per la quale a livello nazionale, anzi. «E io discuterò con tutte le forze politiche. No, vedrete che non sarà un problema di partito. Certo che avrò contro parecchi: si figuri che il presidente dell'Unione delle Province è siciliano... E poi la questione è anche di ripristinare una certa omogeneità territoriale». E che cosa vuol dire? «Un paio di esempi. Ai tempi del Ventennio,  Caltagirone fu in qualche modo punita perché città natale di Sturzo, il fondatore del Partito Popolare, e capoluogo di provincia fu fatta impropriamente Enna. E anche Ragusa la spuntò su Modica per via d'un potente gerarca fascista…». Va bene, ma allora ci faccia sognare, ci dia dei tempi. «La settimana prossima porto il disegno di legge in giunta». L'aveva già detto, presidente. «Vero, questa cosa ce l'ho tra le mani da tempo. Ma è giunta l'ora di provarci». Sarebbe una riforma epocale. «Sì». di Andrea Scaglia

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