Cerca
Logo
Cerca
+

Montecarlo, un anno dopo, L'ultima beffa di Tulliani: sul campanello si nasconde dietro alla Contessa

Sul citofono esterno il cognome Colleoni, ma dentro resta quello di Gianfranco / Borgonovo

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

Archiviare, come ha fatto la procura di Roma. Far sparire le tracce, anche se le impronte ci sono, chiare e ben riconoscibili. Facilitare l'oblio, se possibile, e lasciare che la polvere sotterri quel che la folla è meglio non tenga a mente. Così, un anno dopo, all'apparenza, restano solo le ragnatele a nascondere un'icona ingombrante, l'appartamento in Boulevard Princesse Charlotte al civico 14 noto a tutta Italia come “la Casa di Montecarlo”.   Sembra il titolo di un giallo da quattro soldi, di quelli un po' rinsecchiti dal sole che si comprano d'estate, e in effetti la trama ha iniziato a districarsi circa dodici mesi fa, nel pieno della stagione balneare. Che giallo è stato, anzi un noir, data l'ambientazione in terra francese. E con che personaggi. Primo fra tutti il Cognato, cioè Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, il ragazzo della bella vita, fotografato alla guida di una Ferrari nera e lucida, fresca di fabbrica. Non poteva mancare, nella storia, la Contessa, cioè Anna Maria Colleoni, discendente del condottiero Bartolomeo, vissuto nel XV secolo. Poi lei, la Compagna, Elisabetta, la bionda con un passato televisivo che ha fatto perdere la testa all'uomo potente. Quindi il Presidente, cioè Gianfranco Fini, seduto sullo scranno più alto della Camera. Infine i Segugi, cioè i cronisti del Giornale e poi di Libero che alla fine di luglio del 2010 hanno svelato i contorni della vicenda. NOBILI REGALI Per farla breve: la Contessa è figlia di un gerarca fascista, si fa rapire il cuore dal Msi, poi da Alleanza Nazionale e dal suo leader, Fini. Gli promette, durante una cena, che gli lascerà il suo patrimonio poiché non ha eredi. E così avviene il 12 giugno 1999, quando la Colleoni muore a 65 anni. Nel novero dei beni è compreso l'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte nel principato di Monaco. Una cinquantina di metri quadri, senza vista sul mare, ma a pochi passi dalla bella stazione e in posizione favorevole per raggiungere il Casinò. Nel 2010, il Giornale rivela che di quell'abitazione beneficia Giancarlo Tulliani: c'è il suo nome sul campanello. Salta fuori, nel corso dell'inchiesta, che il quartierino nel 2008 è stato venduto da An a una società con sede ai Caraibi, chiamata Printemps. Prezzo: trecentomila euro, pochino per un immobile del genere. Poco dopo, la Printemps lo ha ceduto, a un costo appena superiore, a un'altra società offshore, la Timara, con sede nello stesso luogo. Fatto sta che nell'appartamento abita, nonostante gli intrugli caraibici, il cognato di Fini. Il quale Fini, dopo che perfino il Corriere della Sera lo ha invitato a chiarire la vicenda, diffonde un video allo scopo di mostrare la sua estraneità a qualsiasi malaffare. Dice di non saperne niente, di aver provato un certo disappunto nello scoprire che suo cognato disponeva dell'appartamento. E promette che se si appurerà che la casa è di proprietà del Tulliani, si dimetterà dalla presidenza della Camera (passo richiestogli da migliaia di lettori di Libero tramite raccolta firme, che furono consegnate dal sottoscritto durante la festa di Fli a Mirabello). Beh, secondo un documento fornito a un certo punto dal ministro degli Esteri dell'isoletta di Saint Lucia nei Caraibi, sarebbe proprio il Tulliani il titolare delle varie società offshore che si sono passate la casa. E qui inizia il putiferio: i giornali di sinistra berciano contro la macchina del fango, gridano al complotto berlusconiano. DENUNCE Nel frattempo, emergono testimoni che dicono di aver visto Elisabetta Tulliani arredare personalmente l'appartamento, spunta anche una cucina Scenery della Scavolini che sarebbe stata acquistata dalla signora proprio per Montecarlo (dunque poteva Fini non sapere?). Ma anche qui tutto viene marchiato d'infamia: “La macchina del fango!”. Ben presto si scoprirà che non c'era nessun fango, e saranno proprio dei giudici ad accertarlo. Dopo la denuncia di due esponenti della Destra di Storace - già componenti del partito che la contessa Colleoni intendeva sostenere e dunque potenziali truffati - la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta, poi archiviata in fretta e furia, senza nemmeno interrogare il Tulliani, del quale però si sono perse le tracce, tanto che da allora nessuno l'ha più rivisto. Secondo la Procura, non ci sono gli estremi della truffa, ma la casa è stata venduta sottocosto. Sempre nelle carte romane, ben sepolto sotto le anticaglie burocratiche, si trova un tassello fondamentale del giallo. Scrivono infatti i magistrati: «Il contratto di locazione intervenuto fra il locatore Timara Ltd, priva della indicazione della persona fisica che la rappresentava, e il locatario Giancarlo Tulliani reca sotto le due diciture “locatore” e “locatario” due firme che appaiono identiche». Significa che a firmare è il medesimo Cognato: una sigla per la società e una per sé. A questo punto, non sembrano esserci molti dubbi su chi sia il proprietario dell'appartamento. Ma Gianfranco Fini, che pure lo aveva promesso, non ha dato le dimissioni. Poi che è accaduto? Che il tempo ha cominciato a passare e pare che in Italia nella memoria resistano solo i guai giudiziari di Berlusconi. Quale mossa migliore, allora, di agevolare il lavoro al vento che spazza via i ricordi? A Montecarlo, in Boulevard Princesse Charlotte, al piano terra, ci sono solo finestre tappate. Il balcone è sporco, i muri un po' sfatti, trascurati. Non che l'anno scorso fossero uno splendore, per carità. Si vede, ripiegata, una branda. A fianco, un contenitore di cartone che avvolge forse un tappeto. Ma il marchio del destino è nel citofono: il cognome Tulliani, all'esterno, non c'è più. Rimangono segni di colla, probabilmente l'hanno grattato via. Svelando la beffa finale: ora campeggia in rosso il cognome Colleoni, come se la casa fosse ancora della contessa e per dodici mesi avessimo raccontato barzellette. CHI L'HA VISTO? Eppure all'interno, sul pianerottolo, un residuo del passato. Vicino alla porta blindata il campanello riporta il nome Tulliani scritto a mano. Dunque una traccia rimane. Mi imbatto in una donna delle pulizie, le chiedo notizie dell'inquilino: «Non viene mai nessuno», mi dice imbarazzata e s'affretta a precisare che lei non sa nulla. Sta dicendo la verità oppure anche a chi vive e lavora qui fa comodo dimenticare, fingere che la bufera sia stata un brutto sogno? Chi lo sa. Suono alla porta a fianco, quella col cognome di Fabrizio Torta, il testimone che aveva visto la sciura Elisabetta arredare la casa. Nessuno apre. Provo altri vicini. Alcuni si spazientiscono, le risposte sono un coretto: «No, no, no». Un signore anziano mi dice che in quel palazzo il Tulliani non lo vedono da un anno, è svanito. Ma l'uomo ha fretta di rientrare, rigira con ansia la chiave nella toppa per liberarsi del fastidioso interlocutore. Che c'entra lui con Tulliani, che gliene importa? Un'altra donna, al citofono, conferma: «Non c'è più, non è tornato». Saggia decisione, dopo tutto, sempre che sia la verità.  L'appartamento sembra disabitato: il campanello non squilla, forse la luce è staccata. Possibile che il vero proprietario non l'abbia affittato, in tutti questi mesi? Possibile che le famose società non lo abbiano ceduto? Eppure gli acquirenti non dovrebbero mancare, un commerciante mi dice che nel palazzo di fronte, zeppo di abitazioni di gran lusso, non è rimasto nemmeno un vano libero. Questa casa è realmente vuota per sempre o solo per qualche tempo, giusto finchè il polverone non sia sceso? Poco distante, sul Boulevard, si trova un bel bar di italiani. Il ragazzo al bancone mi dice che sono passati in tanti, anche semplici curiosi, a chiedere notizie della dimora del Tulliani. «Potrebbero farne un'attrazione turistica o un museo», ride. Bella idea. Museo della Casa di Montecarlo, patrimonio nazionale, monumento alla tristezza della politica italiana. Sul campanello che suona a vuoto, un cognome nobile: Colleoni. Dentro, oltre la porta d'ingresso, il nulla. di Francesco Borgonovo

Dai blog