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Pd, la questione immorale: impone il pizzo pure ai suoi

I manager nominati nelle imprese pubbliche devono versare una percentuale al partito: grave violazione della legge / BECHIS

Giulio Bucchi
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Il Partito democratico, nell'assoluta indifferenza della magistratura, impone in quasi tutta Italia un pizzo sulle poltrone pubbliche. Il sistema non è così diverso da quello utilizzato dalle organizzazioni criminali: se vuoi lavorare, devi pagare una percentuale al partito. Sembra incredibile, però è scritto nero su bianco in decine di regolamenti finanziari del Pd adottati dalle strutture territoriali del partito guidato da Pier Luigi Bersani. Era noto che il partito chiedesse a tutti i suoi eletti una quota dell'indennità parlamentare, regionale, provinciale o comunale percepita. La richiesta è anche comprensibile: le varie leggi elettorali fanno dipendere dal partito le candidature, spesso gli eletti non spendono un euro in campagna elettorale, svolta dal partito, ed è normale chiedere un contributo di ritorno una volta che si è conquistato l'incarico. Solo che il Pd ha esteso dal 2008 questa richiesta anche ai nominati - iscritti o meno al partito - nei consigli delle municipalizzate, in consorzi pubblici, in enti pubblici, e perfino a chi ottiene grazie al partito una consulenza da un ente pubblico. Potete chiamarlo pizzo, o tassa sulla lottizzazione. Una cosa è certa: nessun partito al mondo si sognerebbe mai di imporla addirittura in regolamenti interni, perché una condizione così a parte certificare la lottizzazione, viola una serie notevole di leggi e regolamenti sulla pubblica amministrazione. Solo la certezza dell'impunità può avere fatto rischiare a uomini politici l'inserimento di quel pizzo sui lottizzati in regolamenti resi pubblici sui siti Internet del Pd. La richiesta agli amministratori nominati oscilla a seconda delle zone fra l'8% e il 30% degli stipendi percepiti. Il meccanismo è grottesco: i manager vengono apertamente scelti per la fedeltà al partito. Vengono pagati da tutti i contribuenti italiani, che grazie a quei regolamenti sono anche inconsapevolmente obbligati a finanziare il partito. Bersani e i suoi luogotenenti quindi scelgono i manager da infilare nei cda delle municipalizzate, di enti pubblici o di consorzi. Gli italiani pagano i loro stipendi, sopportandone prima il danno se quelli a parte essere fedeli al Pd sono pure incompetenti e poi la beffa perché grazie al pizzo legalizzato anche se tu sei di centrodestra finisci con il finanziare il Pd. Il Pd della provincia di Lodi impone un pizzo del 10% anche a «coloro che svolgono incarichi pubblici in Enti, istituzioni, consorzi e società» (articolo 7, comma d) del regolamento finanziario), elencando poi le modalità dei versamenti: alla federazione provinciale i presidenti e i membri dei cda di «enti provinciali e sovra comunali», ai circoli locali del partito i presidenti e membri dei cda degli «enti comunali». Il Pd di Latina obbliga al versamento (art 4, lettera c) «coloro che ricoprono incarichi remunerati di qualunque tipo su designazione del Partito stesso».  Nell'articolo 5 c'è un lungo elenco dettagliato dei “designati” a cui si chiede il pizzo: «Presidenti, consiglieri, revisori, consulenti in enti diversi, aziende, società, consorzi etc…». Il Pd di Frosinone impone un pizzo più scontato: l'8%. Ma nel regolamento indica addirittura i nomi delle società o enti pubblici coinvolti (Asi, Saf, Cosilam etc..). Il Pd di Venezia inserisce (art.6 del regolamento) anche le punizioni per chi si ribella al pizzo: si dovrà scordare la designazione «in altri enti e società». Il Pd di Abruzzo chiede agli eletti il 15% della indennità, ai lottizzati invece fa lo sconto: «I designati in enti e organizzazioni di vario livello (società per azioni, consorzi, aziende etc…) sono tenuti a versare al Pd del rispettivo livello una percentuale - stabilita dal rispettivo livello di riferimento - pari al minimo del 12% di quanto al netto percepito mensilmente». Chi sgarra, ha perfino una seconda occasione, ma con regole vincolanti: «Deve regolarizzare la propria posizione entro il 31 luglio, sottoscrivendo una delega bancaria, condizione necessaria per essere designato in altri enti pubblici o privati e/o organizzazioni di vario livello». Nella stessa regione il Pd della provincia de L'Aquila sbatte su Internet i nomi dei ribelli: c'è qualche politico che rifiuta di versare una percentuale della propria indennità, ma ci sono anche consiglieri di amministrazione e revisori dei conti di società pubbliche. Il Pd di Ancona impone il 15% agli «eletti e ai designati dalla Provincia di Ancona, dai Comuni o dalle comunità montane in organi amministrativi, assembleari o di gestione o di controllo presso enti, aziende, società, consorzi, parchi e organizzazioni a livello sovra comunale, di diritto pubblico e/o privato, nonché quelli nominati in Enti o società partecipate…». Il Pd dell'Umbria, quello della provincia di Pistoia e quello del Trentino Alto Adige impongono invece un pizzo più equo, progressivo. Quello di Pistoia ha due sole aliquote (sotto il titolo super esplicito: “contributi dei nominati”): il 5% fino a 50 mila euro netti all'anno di stipendio, il 10% sopra quella cifra. Il Pd Umbro tiene due aliquote: 10 e 15%, poi decidono caso per caso le federazioni territoriali. Quello Trentino ha il pizzo più organizzato di Italia. Lo devono corrispondere però solo gli iscritti al Pd (almeno c'è questa pre-condizione) che svolgono «incarichi pubblici in enti, istituzioni e società». Ci sono cinque aliquote del pizzo: 10% fino a 6 mila euro; 15% da 6 mila a 18 mila euro; 20% da 18 a 36 mila euro; 25% da 36 mila a 72 mila euro e 30% sopra quella cifra. Come il fisco. di Franco Bechis

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