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Bersani e stampa muti L'omertà sul pizzo del Pd

Libero ha svelato il sistema attraverso cui il partito si fa pagare dai suoi lottizzati, gli altri giornali stendono un velo di silenzio sullo scandalo. E Pier Luigi si è già dimenticato delle nostre dieci domande / BELPIETRO

Rosa Sirico
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Tutto tace. Nella speranza di illuminare le molte zone oscure dell'operazione che vede coinvolto un dirigente del Pd, ieri abbiamo rivolto al segretario del medesimo partito alcune domande. Trattandosi di un affare che costò alla Provincia di Milano 238 milioni di euro (non noccioline) e di un fatto per il quale è nel mirino della magistratura uno dei suoi più fidati collaboratori, contavamo su una sollecita risposta di Pier Luigi Bersani. E nel predisporre l'edizione odierna di Libero abbiamo fino a tardi lasciato lo spazio che un intervento del numero uno del partito democratico avrebbe meritato. Purtroppo in redazione non è giunta alcuna lettera proveniente dal quartier generale dell'opposizione. Né si sono visti telegrammi o cartoline. Le dieci domande a Bersani. Guarda Belpietro su LiberoTv È possibile che il silenzio sia dovuto alla complessità della materia, che già ha indotto il segretario piddino nella sua risposta al Fatto quotidiano a scivolare sulle date e sugli incarichi. Non vogliamo neppure immaginare che Bersani abbia invece scelto la politica del “no comment”. Quella la impongono ai giocatori gli allenatori che rischiano la panchina. Né crediamo che il leader del Pd si voglia sottrarre ai quesiti, venendo meno ai propositi di trasparenza e pulizia spesso sollecitati nei suoi discorsi. Neppure pensiamo che nel Partito democratico intenda davvero ricorrere al metodo antidemocratico di imbavagliare la stampa con querele collettive. Certo, a guardarsi attorno c'è da rimanere basiti per il modo con cui alcuni quotidiani trattano la materia, cercando di minimizzarla se non di liquidarla. Di fronte a notizie che in altri casi  avrebbero occupato la prima pagina, alcuni organi di stampa preferiscono usare il silenziatore. Muti come pesci grandi giornali e tv lo sono stati a proposito del pizzo imposto ai lottizzati, una notizia esclusiva pubblicata da Libero che tutti, con la sola eccezione del Tg1, hanno volutamente ignorato, derubricandola tra i fatti minori. Eppure quella non era una bagattella da rimuovere in fretta, soprattutto nei giorni in cui le principali testate ricordano l'intervista con cui trent'anni fa Enrico Berlinguer sollevava la questione morale dentro i partiti. Che diceva il segretario del Pci? Che lo Stato era stato lottizzato. «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni», tuonava il leader del glorioso partito comunista, «hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università e alcuni grandi giornali». A distanza di trent'anni non solo ciò che resta del partito di Berlinguer partecipa attivamente all'occupazione dello Stato. Ma, come ha rivelato il nostro Franco Bechis, ha inventato anche il sistema di fare soldi con la lottizzazione. In molti statuti territoriali del Pd, i vertici del partito hanno preteso di introdurre una clausola che impone il pizzo a ogni lottizzato. Infatti, prima di essere designato ai vertici di una municipalizzata, il candidato alla nomina deve firmare una clausola che lo impegna a devolvere il 10 o il 15 per cento degli emolumenti incassati, un atteggiamento che se fosse praticato da un datore di lavoro sarebbe classificato come estorsione. Le persone che vengono incaricate non devono avere requisiti di moralità e di capacità, ma per il Pd l'importante è che paghino. Altro che merito, basta il pizzo. «Imporre il versamento di una quota dello stipendio al partito, oltre ad essere poco trasparente, manderebbe a farsi benedire l'autonomia dei manager designati. Finirebbe con il crearsi un rapporto organico partito manager che sarebbe del tutto deleterio. Con questo metodo il criterio base delle nomine diventa: quanto può rendere questo qui al partito? Non la capacità». Parola di Antonio Di Pietro, uno che di dazioni di denaro se ne intende. Al Tg1, il solo che abbia ripreso la notizia di Libero, il tesoriere del Pd ha escluso che il sistema sia illecito, ma non lo ha smentito, avvalorandone l'esistenza. Tutto ciò non è stato sufficiente però a svegliare le coscienze delle grandi testate. I giornali e le tv hanno preferito la consegna del silenzio. Che dopo il pizzo, nel Pd e negli organi d'informazione ad esso vicino sia diventata un'abitudine anche l'omertà? di Maurizio Belpietro

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