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Ecco i metodi dei democratici: soldi, minacce e paura

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Unico obbiettivo a sinistra: rastrellare finanziamenti per il partito da tutti i lottizzati. Effetti devastanti per il Paese / BECHIS

Giulio Bucchi
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Il ritornello sembra identico a quello di quasi venti anni fa. Quando le inchieste della magistratura alzano il velo sulla corruzione dei moderati, si scopre sempre qualche malandrino incallito, che usa il potere per arricchimento personale. Se invece si scoperchia qualche affare a sinistra, ecco la leggenda dei monaci comunisti. Vita spartana, nessun grillo per la testa. Quando anche ci fosse corruzione, è solo per sostenere il partito. Fu così ai tempi di Primo Greganti, la storia sembra ripetersi fra Sesto San Giovanni, l'Enac di Franco Pronzato e le intermediazioni di Vincenzo Morichini. C'è chi in fondo immagina una differenza morale fra le due vie per le malandrinate. Da una parte chi si arricchisce e si gode donne, Ferrari e yacht. Dall'altra chi si sacrifica per un bene superiore, quello del partito. E differenza c'è, perchè è assai più invasiva e dannosa per il bene comune la seconda della prima. Le differenze - Chi viola le regole del gioco per arricchirsi a sbafo c'è in politica, come nelle aziende pubbliche o private, come nelle forze di polizia e in fondo in ogni settore della vita pubblica e privata. I casi possono essere pochi o diffusi, ma comunque sono isolati: ognuno gioca per sé. Il caso della sinistra politica italiana è invece un sistema pervasivo di tutta la vita pubblica del paese. Un sistema per cui il bene comune è ridotto al bene di un partito, quindi di un gruppo solo a svantaggio di tutti gli altri. Non ha casi isolati: è la regola. Sotto il profilo giudiziario spuntano vicende qua e là come funghi. Gli appalti Enac che prevedevano una quota in nero per finanziare un partito politico o le sue fondazioni. L'imprenditore Pio Piccini che racconta ai magistrati che su ogni affare da lui conquistato doveva corrispondere una intermediazione del 5,5% da dividere in parti uguali fra Morichini, il Pd e la Fondazione italiani europei. Certo, la magistratura dovrà verificare fino in fondo gli indizi di questo sistema che emergono a macchia di leopardo in tutta Italia, a Roma come a Sesto San Giovanni, in Abruzzo come in Sicilia. Pizzo ai lottizzati - Ma ancora più indicativa di questo modo di occupare la politica e ridurla al vantaggio di un solo gruppo è la vicenda del pizzo imposto da decine di federazioni locali del Pd ai nominati in consigli di amministrazione e collegi sindacali di società pubbliche. Quella senza ombra di dubbio è la fotografia di un sistema, ed è l'elemento che più di ogni altro individua cosa sia la casta politica in Italia. Se ne è colto qualche giorno fa l'evidente imbarazzo nell'intervista al Tg1 del tesoriere del Pd, Antonio Misiani. Certo, non c'è indicatore più evidente della corruzione diffusa della vita pubblica, non c'è simbolo più chiaro di cosa sia una casta di un partito che senza vergogna alla luce del sole mette nero su bianco la propria missione di occupare le poltrone pubbliche e perfino quelle di società per azioni di diritto privato al solo fine di farne derivare un vantaggio patrimoniale al partito stesso, il Pd. È questo l'unico significato di quell'obbligo regolamentare imposto dal Pd a tutti i nominati in cda e collegi sindacali di municipalizzate, enti pubblici, consorzi etc..., di retrocedere al partito una percentuale dello stipendio ricevuto con quell'incarico. Invece della gestione oculata e parsimoniosa del bene comune, si teorizza l'occupazione di poltrone pubbliche al solo fine di trarre un vantaggio patrimoniale al Pd. Certo, la lottizzazione non è stata inventata da Bersani, e molti altri partiti fanno così. Lo fanno e non lo dicono, perchè un po' provano vergogna. Solo la vera casta d'Italia- il Pd- poteva avere la sfrontatezza di teorizzare, perfino santificare questa occupazione del bene pubblico a fini privati che è la vera piaga della corruzione italiana. Niente assoluzione Non per me, ma per il partito è per altro assoluzione che non ha più alcuna ragione di esistere nell'Italia della secona Repubblica. Grazie a quella generosa legge sui falsi rimborsi elettorali, solo nel 2008 (dati della Corte dei Conti) il Pd si è visto rimborsare 180 milioni di euro di fronte ai 18 effettivamente spesi. Dieci volte tanto! E da anni questa generosità è legge. Di che finanziamenti ha ancora bisogno un partito in queste condizioni? Dove finiscono, in quali imprese sono spesi gli extra che potrebbero arrivare dalle tangenti che emergono nelle inchieste? Quale necessità ancora esiste di imporre quel pizzo ai nominati? I primi a meritarsi una risposta a questa domanda sono gli incolpevoli militanti ed elettori del partito guidato da Bersani. Non risponda per noi. Ma per loro. di Franco Bechis

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