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La Germania vuole lo scettro, ma il loro modello è fallito

Berlino cresce meno dell'Italia. Nell'attacco al Cav l'opposizione indicava il teutonico esempio. Ma ora non possono dar lezioni

Andrea Tempestini
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«E nessuno ne restò». Come i piccoli indiani di Agatha Christie, i Paesi occidentali sono crollati uno dopo l'altro sotto i colpi della crisi. L'ultimo di loro, il più grosso, quello che secondo tutte le previsioni avrebbe dovuto restare in piedi per regnare sui detriti dell'Europa, è caduto ieri: anche la Germania di frau Merkel è ferma al palo. Nel secondo trimestre del 2011 il prodotto interno lordo tedesco è aumentato appena dello 0,1% su base congiunturale, cioè rispetto al trimestre precedente. Un risultato ben al di sotto dei calcoli degli analisti. La delusione è forte soprattutto per Angela Merkel, la quale pochi giorni fa aveva pronosticato per il 2011 una crescita «paragonabile a quella del 2010», cioè intorno al 3,6%. Ipotesi, a questo punto, chiaramente irrealizzabile. Se la passa meglio della Germania persino l'Italietta guidata da Silvio Berlusconi, la cui economia nel secondo trimestre dell'anno ha fatto un balzettino dello 0,3%: sempre poco, ma tanto basta in questo momento a metterla in cima alla classifica dei Paesi industrializzati. Questo, almeno per un po', dovrebbe impedire all'opposizione e ai critici del governo italiano di proseguire la litania che intonano da anni. E cioè che non è vero che le economie avanzate in questa fase non possono crescere: guardate la Germania come corre! Se l'Italia resta ferma e gli altri corrono, la colpa non può che essere del governo! Come diceva due mesi fa Enrico Letta, il governo Berlusconi avrebbe dovuto essere rimpiazzato da un esecutivo «di salute pubblica», perché l'Italia non può affrontare una manovra correttiva (quella di giugno) «in un momento in cui la crescita è pari all'1% contro il 4,9% della Germania». Intanto i suoi colleghi del Pd attaccavano il governo perché «l'Italia continua ad essere fanalino di coda in Europa per crescita economica, addirittura un terzo della Germania». Impietosi erano pure i raffronti del direttore di Confindustria Giampaolo Galli, il quale, sempre a metà giugno, diceva che «la Germania è tornata ai livelli di produzione pre-crisi e anche nel 2011 crescerà oltre il 3%», mentre «l'Italia è tra i Paesi del mondo che è cresciuto di meno». Insomma, il governo Merkel era additato come autore di una politica economica efficiente e “di centrodestra” che i nostri non avevano il coraggio di replicare. Sennonché a luglio la produzione industriale tedesca è calata dell'1,1%, e a smorzare i residui entusiasmi filo-germanici sono adesso giunti i dati sul Pil. Ora che si è scoperto che la Germania può crescere meno dell'Italia, la tragedia è completa e gli economisti di Citigroup possono dire che «tutti i dati puntano verso una stagnazione in Eurolandia nel secondo trimestre». Previsione sin troppo facile, visto che anche l'economia francese è ferma. Ora che la crisi li ha morsi, i tedeschi stanno rivedendo molte delle loro certezze. Sino a pochi giorni fa l'idea di confondere il loro debito con il nostro e con quello degli altri Paesi del sud Europa atterriva i ministri di Berlino. Ma adesso, raccontava ieri il quotidiano Suddeutsche Zeitung, costoro stanno facendo più un pensiero sugli Eurobond, titoli a copertura del debito dei singoli Stati emessi dalla Bce e garantiti da tutti i Paesi dell'area dell'euro. Segno che il panzer Germania ha perso molte delle proprie certezze e sente bisogno dell'aiuto di noialtri poveracci. La Merkel ha smentito l'intenzione di affidarsi agli Eurobond, ma, assieme al presidente francese Nicolas Sarkozy, ha chiesto di dare all'Europa «un governo di natura economica» che si riunisca «una volta al mese». Germania e Francia, in altre parole, hanno capito che se va a fondo l'Europa non si salvano nemmeno loro, e chiedono un coordinamento più stretto tra le politiche economiche degli Stati, nel quale ovviamente Parigi e Berlino avrebbero un peso decisivo. La signora Merkel è solo l'ultima pietra di paragone contrapposta a Berlusconi che finisce per sgretolarsi. Il Pd ci aveva provato persino con il premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero. Nel 2006 Massimo D'Alema disse che sull'economia bisognava «fare come lui», poiché «la Spagna quest'anno è cresciuta del 3%, mentre Berlusconi ci ha lasciato a stecchetto. E in due anni Zapatero ha creato un milione di posti di lavoro veri». Parole che non hanno portato fortuna né a Zapatero né alla Spagna, che da allora ha perso crescita, ricchezza e occupazione, riducendosi assai peggio dell'Italia. Tanto che D'Alema ha smesso di magnificare Zapatero, il quale ha già fatto sapere che non si candiderà alle prossime elezioni. Pure Barack Obama, altro del quale avremmo dovuto seguire le orme, ha nell'economia il tallone d'Achille: il debito statunitense ha appena superato il valore del Pil, che nel secondo trimestre del 2011 è cresciuto solo dello 0,3%, ben al di sotto delle previsioni. Ha ragione quindi chi dice che la crisi non è globale: il Pil cinese vola al ritmo del 9,5% l'anno, quello dell'India cresce di oltre l'8% e quello del Brasile segna un +7,5%. Ma le economie mature, i cosiddetti «paesi occidentali», dentro la crisi ci sono tutti. E nessuno dei loro leader ha la ricetta per uscirne. Sotto la tempesta, la politica è impotente: può aprire un ombrello per impedire che i ceti più deboli si bagnino troppo, ma non può far tornare il sole. di Fausto Carioti

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