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Arrabbiati Il diritto di scoprire chi imbroglia Ecco perché i redditi in piazza sono sacrosanti

Pansa: per il Fisco sono il terzo più ricco della mia provincia. Sono circondato da bugiardi, inchiodiamo chi non paga

Giulio Bucchi
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A volte mi domando se non debba cambiare l'insegna di questa rubrica. L'avevo decisa nel 1987 insieme a Claudio Rinaldi che allora dirigeva Panorama. Lo scopo era di raccontare ogni sette giorni una bestialità della classe politica italiana, che in quell'epoca non veniva ancora identificata come una casta. Da allora sono trascorsi quasi venticinque anni. Dalla Prima Repubblica siamo passati alla Seconda. I comportamenti bestiali dei politici si sono moltiplicati. E non fanno quasi più notizia.  Nella settimana appena conclusa gli errori della Casta hanno toccato un culmine mai prima raggiunto. Silvio Berlusconi, pur essendo il capo del governo, ha sostenuto che siamo un paese di merda. Rivelando di essere pronto a lasciare l'Italia. Imprudente, sciocco o bollito? Decidete voi. Nel frattempo il centro-destra traballa ogni giorno di più. Il Cavaliere teme un ribaltone e la nascita di un governo tecnico. Come se non bastasse, mandare in porto la manovra finanziaria risulta molto difficile. E non è detto che, tra qualche mese, non ne sia necessaria un'altra.  L'unico aspetto positivo di questo caos è che si è ritornati a parlare di tasse e, insieme, di lotta all'evasione fiscale. È una questione che si ripresenta di tanto in tanto nel chiacchiericcio nazionale. Ma stavolta accade in un clima politico e con un atteggiamento mentale assai diversi. Per un motivo semplice: in molti si stanno convincendo che questa Repubblica, e dunque questa democrazia, non reggeranno a lungo se non verrà risolta la tragica questione delle tasse che troppa gente non paga.  Le dimensioni del problema sono mostruose. Le imposte evase assommano a 120 miliardi di euro. Se ci aggiungiamo i 135 miliardi dell'economia sommersa e i 77 miliardi della criminalità organizzata, si arriva a una cifra quasi assurda: 332 miliardi di euro che sfuggono a qualsiasi controllo fiscale. È inutile rifare per l'ennesima volta l'elenco delle categorie che evadono di più. In tanti l'hanno presentato molte volte. E non è servito a nulla.  Invece serve fermarsi sui due provvedimenti anti-evasori che pare saranno approvati con la finanziaria. Dico pare poiché nulla è sicuro. Oggi ci sono, ma domani potrebbero scomparire. Il primo è la pubblicazione dei redditi sui siti internet dei comuni italiani. Il secondo stabilisce il carcere per i colpevoli di un'evasione superiore ai tre milioni di euro. Vediamo un po' di che cosa si tratta.  Per quel pochissimo che conto, ho sempre visto con favore la pubblicità dei redditi. In questi anni ne ho scritto più volte. Nel mio archivio ho rintracciato un Bestiario del 31 ottobre 2006, un quinquennio fa. Vi raccontavo della vecchia imposta di famiglia, applicata dai singoli comuni. E resa nota ogni anno con l'affissione dell'elenco nell'albo municipale e la relativa consegna ai giornali del posto che si precipitavano a stamparli.  Sto parlando degli anni Cinquanta e Sessanta. Allora il concetto di privacy fiscale era del tutto ignoto. Prevaleva un senso della giustizia contributiva che oggi appare quasi barbaro a molti: informare la comunità di quale fosse la condizione economica dei più abbienti. Che di solito erano anche i cittadini più in vista e più potenti.   La graduatoria provocava sempre dibattiti molto accesi. E spesso erano discussioni incavolate. Guardate l'industriale X, il primario Y, il commerciante Z, il ristoratore U, il notaio o l'avvocato W, il grande proprietario di immobili H:  possibile che guadagnino così poco? Ci deve essere sotto qualcosa. Il sindaco o l'assessore ai tributi sono stati di manica larga: le cifre di quei redditi gridano vendetta!  All'inizio degli anni Settanta, l'imposta comunale di famiglia scomparve, assorbita dalla riforma fiscale. Per qualche tempo, il ministero delle Finanze diffuse un Libro Bianco e un Libro Nero. Il primo con i nomi dei contribuenti fedeli, il secondo con quelli degli evasori. Poi i libri svanirono, nel senso che non vennero più pubblicati.  Per accendere un altro faro sui redditi degli italiani, fu necessario aspettare l'aprile 2008. In quel tempo il secondo governo Prodi stava tirando le cuoia, travolto dalle risse interne al centro-sinistra. Prima di chiudere bottega, Vincenzo Visco, responsabile delle Finanze, pubblicò sul sito dell'Agenzia delle Entrate le dichiarazioni presentate nel 2006 e relative ai redditi del 2005, provincia per provincia. Poi intervenne il Garante della privacy e l'agenzia fu costretta a cancellare gli elenchi.  Tuttavia, quei pochi giorni di pubblicità bastarono per far capire come funzionava la giostra dell'evasione fiscale. Nel leggere l'elenco dei primi venticinque redditi della provincia dove risiedo, mi resi conto di essere in testa alla classifica, per l'esattezza il terzo. Pur essendo soltanto un giornalista e autore di libri.   Quel giorno mi congratulai con me stesso: bravo Giampa!, tuo padre Ernesto, operaio delle Poste e telegrafi, sarebbe orgoglioso di te. Qualche amico, invece, mi disse: sei proprio stupido, essere un contribuente fedele non ti servirà a niente, se non a farti sfottere da tanta gente ben più ricca e che riesce a sembrare povera.  Ancora oggi sono un tifoso della pubblicazione dei redditi. Ne ho scritto un mese fa, su Libero. Ammesso e non concesso che questa decisione rimanga nella manovra che verrà approvata, vorrei che fosse l'Agenzia delle entrate a metterla in pratica. I motivi li ha spiegati il nostro Franco Bechis. Ma anche i sindaci mi vanno bene. E se un comune non ha un sito internet, si regoli come accadeva con l'imposta di famiglia: esponendo in municipio l'elenco dei contribuenti. Mi restano comunque molti dubbi che la trasparenza serva a combattere sino in fondo l'evasione fiscale. A non pagare le tasse è gente furba e non si ferma davanti a nulla. Neppure alle spiate dei vicini di casa. L'invidia esploderà di sicuro. Ma non ci sarà nessuna delazione. Del resto, soprattutto nei piccoli centri, le autorità comunali conoscono già quel che serve. E anche i ladri che rapinano le case sono più informati del fisco. In compenso tutti potrebbero fare confronti interessanti e pedagogici. Tra contribuente e contribuente, tra reddito e reddito. Chi paga le tasse sino all'ultimo euro avrebbe di che ridere, alle spalle degli abbienti che fingono di essere poveri. Sarà una magra consolazione. Ma ridere è sempre meglio che piangere. Altrettanto vana mi sembra la minaccia delle manette per i grandi evasori. Non riesco a immaginare che qualche giudice riesca a mandarli in galera. In altri paesi democratici non è così. Per esempio, nelle carceri degli Stati Uniti ci sono parecchi contribuenti infedeli. E quando il direttore della prigione li mostra a dei visitatori, spiega la reclusione con una formula semplice e terribile: “Hanno mentito al popolo americano”. L'evasore nostrano mente al popolo italiano. E danneggia, frega, imbroglia i contribuenti onesti. Vediamo se questo governo, o un altro, riuscirà a stangarlo di Giampaolo Pansa

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