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Da Profumo a Montezemolo: ecco il governo dei trombati

Ci sono anche Fini e Monti: la carica dei silurati che vuole le stanze del potere

Andrea Tempestini
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L'intervista a Beppe Pisanu apparsa ieri su Repubblica è la prima avvisaglia d'un tormentone destinato a montare non appena la squinternata manovra economica terminerà il suo iter parlamentare. «Serve un governo di larghe intese, un patto di fine legislatura», ha detto il presidente della Commissione antimafia: scenario da lui lungamente accarezzato, ma che potrebbe, di qui a qualche settimana, varcare il confine che separa le speranze dalla  realtà. La prospettiva d'una compagine di transizione, o di unità nazionale, sembrava tramontata il 14 dicembre dello scorso anno, quando la risicata fiducia ottenuta da Berlusconi stroncò la faida finiana. Nonostante le malvagie ironie su Scilipoti&C, la maggioranza parve in grado di reggersi. Negli ultimi mesi, però, il precipitare dei mercati ha mutato d'improvviso il quadro. Berlusconi, per la prima volta, non sembra in grado di padroneggiare la situazione con efficacia. Se gli effetti della manovra dovessero mostrarsi inferiori alle attese, l'ipotesi di una crisi non sarebbe peregrina. Di andare subito a elezioni non se ne parla: a sconsigliare il ricorso alle urne non è il timore d'uno schianto finanziario, quanto l'impreparazione delle forse in campo. In compenso, sono in tanti a sognare un governo tecnocratico, nato fuori dal recinto dei partiti. Lo vorrebbe Napolitano, che nella sua videoconferenza allo Workshop Ambrosetti di Cernobbio s'è quasi scusato di non poter prescindere dalle maggioranze in Parlamento; lo vorrebbero il patto di sindacato del Corriere, la Confindustria della Marcegaglia e i banchieri che, sempre a Cernobbio, non hanno lesinato bacchettate al centro destra. Farebbe comodo al Pd, che avrebbe così il tempo per decantare la propria situazione interna, e non dispiacerebbe a parte della Lega, Maroni in testa, desiderosa di liberarsi dall'abbraccio col Cav. Quanto a Casini e al Terzo Polo, sono stati i primi a invocare la grande ammucchiata. Dunque tutti d'accordo, o quasi. Ad apparire disperante, però, è il profilo esibito dagli aspiranti salvatori della Patria. Il titolo ideale d'una fotografia che li ritraesse in gruppo sarebbe “la compagnia dei trombati”: ciascuno sembra alla ricerca d'un qualche risarcimento per gl'insuccessi personali. Un gran trombato è lo stesso Pisanu, costretto al ruolo di comparsa in seguito alla pessima figura rimediata da ministro dell'Interno nella notte dei brogli del 2006. Trombati di lusso, e di charme, anche gli uomini sui quali puntano Pd e terzopolisti, cioè Alessandro Profumo e Luca di Montezemolo. Berlusconi scese in politica all'apice del successo; loro stanno meditando il gran passo all'apice dell'insuccesso: l'uno messo parte da Unicredit, l'altro da Fiat e da Confindustria. Mario Monti, il più corteggiato di tutti, sembra non essersi mai riavuto dalla delusione d'aver dovuto abbandonare il posto di commissario europeo. Il minimo che si aspetta, per ricompensare i suoi meriti, è la presidenza del Consiglio. Intorno ai supereroi gravitano alcuni trombati cronici: Fini, cassintegrato della politica in mobilità lunga il cui progetto è a dir poco in crisi; D'Alema, un ex premier passato a prendere schiaffi da Vendola e piazzato al Copasir; Rutelli, preso a sberle prima da Berlusconi poi da Alemanno. Tutti costoro, per raggiungere i propri obiettivi, devono superare un impiccio trascurabile: la democrazia elettiva, quel perfido sistema che impone il consenso degli elettori. Ci provassero: con i mezzi e le amicizie di cui dispongono, non dovrebbe essere difficile. I tecnocrati – salvo uno, Romano Prodi – sono allergici al responso delle urne.  Si ritengono i migliori: non ne hanno bisogno. di Renato Besana

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