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E' pronta la nuova manovra: via pensioni di anzianità

Tremonti: "Tagliando per crescita. Se c'è da fare, lo faremo". Schifani vuole riforma previdenza. Altolà di Maroni

Andrea Tempestini
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«Se c'è qualcosa da cambiare lo cambieremo, se ci sarà qualcosa da aggiungere lo aggiungeremo». Lancia questa bomba di profondità il ministro dell' Economia Giulio Tremonti a margine del G8 di Marsiglia. Salvo precisare che la manovra in dirittura d'arrivo a Montecitorio va bene così come è stata pensata (e pure Berlusconi concorda assicurando che non andrà rafforzata perché è «stata fatta da noi seguendo tutte le indicazioni delle Bce»), ma poi il ministro dell'Economia lancia una scialuppa per la crescita. Il governo - anticipa Tremonti - ha intenzione di consultare anche le organizzazioni internazionali, Ocse, Fondo Monetario e Commissione europea. Come dire: dopo la lettera secretata di Bruxelles e Bce che ha portato all'impianto della finanziaria di Ferragosto, adesso per rilanciare la crescita nel nostro Paese il governo intende avvalersi delle menti più fini che ci sono a portata di mano. O forse sarà costretto a questo giro delle sette chiese per accogliere i suggerimenti obbligati. Archiviata (all'inizio della prossima settimana) la manovra d'agosto, si passerà all'esame rapido dei provvedimenti da implementare per la crescita.  Per prima cosa verrà svolto un «tagliando» (sceglie proprio una metafora da meccanico) delle misure già varate. «Dobbiamo fare l'inventario delle cose che abbiamo fatto», spiega Tremonti: «In questi ultimi tre mesi abbiamo messo in campo 40 azioni per lo sviluppo, dobbiamo ricordare quali sono, vedere se funzionano ed eventualmente aggiungerne altre». E proprio su quel «aggiungerne altre» si scatenano le ipotesi più fantasiose. In un momento di fibrillazione finanziaria e politica la congiuntura degli eventi rischia di portare a scelte impopolari, non politicamente gradite e deflagranti per la stessa maggioranza. Una su tutte la riforma delle pensioni di anzianità (valore stimato 7 miliardi in due anni). La Lega non vuol saperne e a stretto giro - dopo mesi di niet - arriva l'ennesimo altolà del delfino padano, il ministro dell'Interno Roberto Maroni. «Non c'è necessità di farlo perché il sistema di previdenza italiano è in equilibrio, come dice l'Ue». Eppure che una solidarietà generazionale vada attivata proprio per favorire la crescita, non è un tabù nelle alte sfere della maggioranza. Non a caso ne parla chiaramente il presidente del Senato, Renato Schifani: «Quando parlo di riforme strutturali, parlo prima di tutto della riforma previdenziale senza la quale rischiamo di far pagare ai ragazzi la situazione presente». L'indisponibilità della Lega potrebbe essere compensata - in un eventuale voto - dal convinto sostegno dei centristi. Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, da navigato uomo di Palazzo annusa l'aria e pronostica un ennesimo intervento. A breve: «La manovra è stato un balletto indecente. Se andiamo avanti così  tra pochissime settimane dovremmo fare un'altra manovra». Sulla stessa linea anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani: «Fare presto sì, ma fare bene! Fare solo presto senza fare bene significa essere daccapo il mese prossimo in condizioni sempre più difficili». Forse a via XX Settembre non verrà chiamata manovra, ma l'intervento sulla crescita assomiglia tanto all'ennesimo aggiustamento in corsa. Del resto il calendario è fissato e dettato dal differenziale tra titoli di Stato italiani e bund tedeschi. Il nostro Paese nel 2012 dovrà vendere sui mercati oltre 400 miliardi di titoli. Senza una credibilità che riduca lo spread il conto degli interessi da pagare sarà salatissimo. E neppure la ventilata dismissione del patrimonio immobiliare alienabile (complessivamente stimato in un valore di 300 miliardi) può dare certezze di tempi e d'incasso. Servono manovre strutturali e non una tantum. Se poi per raggranellare qualche miliardo si arriverà anche all'ennesimo condono tombale - come suggerisce qualche azzurro di rango - questo rappresenterà la ciliegina su una torta cucinata in altri forni  (con ricetta dettata da Ue, Bce, Fmi e Ocse). E poi quella che viene già chiamata come la “terza manovra” (derubricata nel dettaglio dei provvedimenti a Legge di stabilità), potrebbe riproporre tutti gli stralci (liberalizzazioni, privatizzazioni, taglia ai costi della politica) che un mese di trattativa hanno abilmente archiviato. Una certezza: anche questa volta il compitino verrà dettato da Francoforte. di Antonio Castro

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