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I pizzini che incastrano il Pd nella tangentoli rossa

Mazzette rosse. Tangente Serravalle, ecco i due manoscritti finiti in mano ai pubblici ministeri. Perquisita la holding Gavio

Andrea Tempestini
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Certo che fa strano. Cioè, nell'era dei computer e delle email e sms e intercettazioni ipertecnologiche, ecco, alla fine due degli elementi più importanti nella clamorosa inchiesta che tanti imbarazzi sta creando al Pd sono appunti manoscritti. Entrambi relativi al ramo d'indagine che riguarda la presunta tangente alla base dell'operazione con cui, nel 2005, la Provincia di Milano allora guidata da Filippo Penati acquistò dal gruppo Gavio il 15 per cento di azioni della società Milano Serravalle. Note scritte a penna, dunque. Innanzitutto la famosa postilla. Vergata a mano da Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio, in coda al contratto preliminare d'acquisto di un immobile di proprietà di Piero Di Caterina, per anni sodale di Penati e oggi suo grande accusatore. Un'operazione che, secondo i pm, in realtà deriverebbe da  tangenti. Nel senso che all'epoca - era il 2008 - Di Caterina reclamava da Penati la restituzione dei soldi a suo dire pagati sottobanco al politico. E dunque Binasco - d'accordo con Penati - si sarebbe incaricato d'inscenare la compravendita, versando a Di Caterina due milioni di caparra, denaro che sarebbe rimasto a quest'ultimo qualora l'affare non si fosse concretizzato - e così avvenne. Ed è proprio questa postilla che dimostrerebbe come fin dal principio l'intenzione di Binasco fosse quella di lasciare i soldi a Di Caterina. Così scriveva il manager di suo pugno: «La parte promittente acquirente si riserva in qualsiasi momento prima della stipula del contratto definitivo di vendita di rinunciare mediante semplice comunicazione scritta alla parte promittente venditrice all'acquisto del bene con sola rinuncia della caparra confirmatoria versata - Milano 14.XI.2008 - Binasco Bruno». E così commentano i magistrati: «Le annotazioni manoscritte di Bruno Binasco al contratto preliminare consentono di attribuirgli una valenza simulatoria perché dimostrano come fosse già nelle intenzioni del promissario acquirente rinunciare all'acquisto con conseguente perdita di due milioni di euro. Simulazione che ovviamente serviva a creare una “copertura” ad un'operazione di restituzione di fondi». E più avanti: «L'unica alternativa razionale e coerente per spiegare il pagamento di Binasco a Di Caterina nell'interesse di Penati e Vimercati [all'epoca braccio destro di Penati, ndr] è che la somma sia parte della tangente a loro destinata per l'acquisto da parte della Provincia di Milano delle azioni della Milano Serravalle». Peraltro, ieri la Guardia di Finanza - su disposizione della Procura - ha visitato la holding del gruppo Gavio, la Argo Finanziaria. Sequestrando carte e bilanci, in cerca di tracce della tangente in questione. Magari sotto forma di consulenze effettuate da personaggi che avrebbe ro potuto rivestire un ruolo nella vicenda. E poi c'è l'altro foglio consegnato ai pm sempre da Di Caterina. Qui le note manoscritte sarebbero di Antonino Princiotta, all'epoca dirigente della Provincia. Appunti che, stando sempre a Di Caterina, si riferirebbero a riunioni di inizio 2005, in cui lo stesso Princiotta,  Vimercati, Binasco e l'altro manager di Banca Intesa Maurizio Maurizio Pagani (tutti indagati) avrebbero discusso delle mazzette legate proprio all'operazione Serravalle. Sul retro del foglio, ecco gli appunti poi dettati da Di Caterina alla segretaria: «Aprile 2005 dal commercialista Ferruccio in Pontaccio riunioni per convenire sovrapprezzo azioni da girare a Prov.». Dove il sovrapprezzo sarebbe per l'appunto la tangente. Mentre il «commercialista Ferruccio in (via) Pontaccio», a Milano, non è stato trovato. In ogni caso, sul documento la Procura ha disposto una perizia calligrafica, per stabilire se fu davvero Princiotta a scrivere nella prima parte del foglio - e se così fosse, il racconto di Di Caterina ne uscirebbe rafforzato. Senza contare che i pizzini non sarebbero esauriti: se Di Caterina dice il vero, la Guardia di Finanza ne avrebbe molti altri. di Laura Marinaro e Andrea Scaglia

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