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Così l'Italia regala 3,5 miliardi ai finti lavoratori del Sud

A Napoli e Palermo decreto da 110 milioni per finanziare attività socialmente utili. La storia si ripete ogni anno dal 1984

Lidia Baratta
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Sono arrivati. Puntuali come un orologio svizzero, come ormai accade dal 1984. Ci sarà stata la tempesta finanziaria, c'è la manovra lacrime e sangue che prova a tenerla buona senza grandi successi, ma anche in questo turbolento settembre 2011 piovono 110 milioni di euro sui comuni di Napoli (che fa la parte del leone) e Palermo. Il decretino porta la data del primo settembre e anche la firma del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Nel testo appena trasmesso in Senato in calce c'è anche indicato “Il presidente del Consiglio dei ministri”, ma la casella è vuota, perché al momento Silvio Berlusconi non ha trovato ancora il tempo e il coraggio per firmarlo. Quei 110 milioni di euro servono a pagare i “lavoratori socialmente utili” che vengono impiegati dal Comune di Napoli spesso come aiuto per pulire le strade e levare la spazzatura e da quello di Palermo per controllare e proteggere i propri beni culturali anche attraverso l'impiego di cooperative di ex detenuti o di lavoratori socialmente utili. Così almeno sostengono le varie leggi che sono all'origine di questi finanziamenti. Scorrendo i vari provvedimenti che ogni anno vengono infilati come emendamento a qualche leggina (normalmente la finanziaria, ma anche il mille proroghe), dal 1984 ad oggi prima in lire e ora in euro sono piovuti a Napoli e Palermo qualcosa come 3 miliardi e mezzo di euro per impiegare ed eventualmente stabilizzare i precari cittadini. Quando le norme sono nate, dovevano essere provvisorie: servivano a dare un lavoro temporaneo ai dipendenti della Gepi che prima era in ristrutturazione e poi sarebbe chiusa. Poi ad ogni giro di cassa integrazione, sono diventati lavoratori socialmente utili anche quelli di aziende temporaneamente in crisi, come quelli di aziende fallite. Nel gruppone sono passati ad esempio i lavoratori dell'Olivetti all'epoca finale di Carlo De Benedetti, come quelli dei settori che entravano di anno in anno in crisi (siderurgia, cantieristica, etc…). Era gente senza lavoro e magari con famiglie a carico, chiara l'emergenza. Così nel 1984 cominciarono ad arrivare 40 e poi 90 miliardi di vecchie lire solo per Napoli. Con un'altra leggina sui beni culturali si aggiunse Palermo cui andò metà della cifra. Fin da subito si capì che i lavoratori socialmente utili sarebbero diventati un comparto parallelo della pubblica amministrazione. Perché andava così: contratti rinnovabili fino a un massimo di tre anni, poi quelli facevano causa all'ente pubblico e il comune di Napoli o quello di Palermo li doveva assumere. Anche perché se dicevano di no, quelli scendevano subito in piazza e montavano una cagnara occupando il municipio o qualche assessorato. Intere cooperative di lavoratori socialmente utili (che essendo in forma societaria non avrebbero vinto la causa) si sono sciolte e i loro soci sono diventati dipendenti delle municipalizzate. I soldi arrivavano puntualissimi ogni anno. Talvolta anche con integrazione supplementare come accadde nel 1998 (40 miliardi di lire extra in aggiunta ai 150 già stanziati dalla finanziaria). Certo, ci voleva l'emergenza lavoro che a Napoli e Palermo non mancava mai. Però chissà perché, nonostante tutti quei fondi a pioggia i giovani disoccupati napoletani rifiutavano i lavori socialmente utili. Se ne accorse fin dai primi anni Tiziano Treu, piuttosto meravigliato.   Fu così che per non interrompere il flusso magico dei fondi nel 1995 al sindaco di Napoli Antonio Bassolino venne un'idea-bomba: impieghiamo nei lavori socialmente utili del comune anche i cassaintegrati, che prenderanno sì lo stipendio, ma non sanno che fare da mattino a sera e bighellonano per la città. Il 28 luglio 1995 il Comune di Napoli annunciò l'assunzione di 5.600 cassintegrati come lavoratori socialmente utili del comune: 1.327 andarono a fare la raccolta rifiuti, con i risultati che negli anni si sono ben visti. Con i cassintegrati dentro l'emergenza non sarebbe mai finita, ecco l'uovo di Colombo! Se si guarda il testo del nuovo dpcm Tremonti-Berlusconi, si capisce tutto. Il testo è un capolavoro di ipocrisia legislativa. Fin dal titolo: “schema di dpcm relativo alla ripartizione delle risorse previste dall'ultima voce dell'elenco 1 allegato alla legge 13 dicembre 2010, n. 220”. Che si capisce? Nulla, naturalmente. Il decreto divide poi 237,5 milioni di fondi. Di questi 103 vanno a rimborsare parzialmente i libri di testo scolastici. Altri 4,5 milioni servono a finanziare “eventi celebrativi di carattere internazionale”, non specificati. Ancora 19 milioni di euro “sono utilizzati per la proroga delle attività di cui all'articolo 9, comma 15 bis del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78”. Uno sgrana gli occhi e dice “boh? che sarà?”. Se prende quel decreto del 2010, rimanda ad altro comma di altro decreto precedente... Così fino a una legge del 1997: da 14 anni quei 19 milioni sono i fondi per i bidelli precari da stabilizzare. Infine, eccoli lì i 110 milioni di euro per i lavoratori socialmente utili. Che non vengono nemmeno nominati: i soldi sono stanziati per le finalità “di cui all'articolo 3 del decreto legge 25 marzo 1997, n.67”. Che naturalmente rimanda ad altro articolo ed altro comma di legge precedente, che rimanda… Inutile annoiare il lettore: soldi per i precari. Anzi, per farli restare precari. Da 27 anni. di Franco Bechis

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