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Crisi, la ricetta di De Benedetti: tagliare teste a tradimento

Mentre lui critica la manovra del governo, la sua Cir mette in liquidazione la Ktesios SpA e manda a casa 80 dipendenti

Costanza Signorelli
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Si gioca tutto oggi il destino di 80 famiglie che rischiano di finire in mezzo a una strada dopo che il loro datore di lavoro, la finanziaria Ktesios SpA, è stata messa in liquidazione volontaria dopo anni di fulgidi utili. Una delle tante vittime della crisi che si è abbattuta sul credito al consumo? Certo, ma non solo. Licenziati vittime della recessione? Forse, ma la notizia è un'altra. Il proprietario della Ktesios infatti è la Cir di Carlo De Benedetti. Divide con Merrill Lynch il 90% delle azioni. In parole parole, udite udite, anche l'ingegnere licenzia. Forse perché non ha fiducia in questo comparto. Forse perché non gli è bastato nel 2008 un utile netto dell'azienda a 5,6 milioni di euro, scesi a quasi due nel 2009, sta di fatto che ai primi chiaroscuri i soci hanno deciso di mettere in liquidazione volontaria la società. Così il 28 giugno è partita la procedura di licenziamento collettivo e addio ai buoni propositi di tenere duro, non mollare mai, ottimismo e volontà. Insomma quelle belle parole che ruotano negli auditorium dei big della finanza quando buttano addosso alla politica ogni responsabilità. È capitato non più tardi dello scorso fine settimana quando proprio l'ingegnere ha partecipato a un incontro della fondazione Rodolfo De Benedetti. Ed è andato giù duro, a modo suo attaccando l'esecutivo che «sta mettendo le mani nelle tasche degli italiani, ma nei pantaloni sbagliati». Il corollario di critiche alla manovra è articolato, De Benedetti accusa Berlusconi di aver sbagliato tutto. Ma riflettendo sul titolo del dibattito, si intravede la strada. Il titolo è appunto “Redditi durante la Grande Recessione” e la domanda non scritta è: come farli? Difficile. Il consiglio del fruttivendolo è quello di tagliare i rami secchi. Senza se e senza ma. E così di fronte a una perdita d'esercizio di 10 milioni al 31 dicembre scorso ai piani alti della finanziaria si è pensato che era meglio chiudere i battenti. Tutti a casa. Tanto da proporre ai dipendenti scivoli di tre mesi di anzianità, nessun ricorso alla cassa integrazione, zero incentivi all'esodo. Insomma, licenziati. Oggi i sindacati dei lavoratori incontrano il liquidatore, il professore Enrico Laghi, chiedendo di utilizzare quegli ammortizzatori sociali indispensabili per togliere gli incubi dal futuro prossimo di queste famiglie. In cuor loro, in molti in azienda sperano che De Benedetti metta mano alla tasca dei suoi pantaloni andando ad aiutare un'azienda che fino a ieri l'altro era un gioiello. E c'è chi la butta in politica: «Possibile che se un capitalista di sinistra licenzia cento dei suoi lavoratori – afferma un dipendente - lo si tolleri, quasi lo si giustifichi? Valiamo quindi meno degli altri operai o degli altri impiegati di qualunque società o industria privata nazionale». Discorso che vibra soprattutto se si pensa che il gruppo Cir oggi conta 13 mila dipendenti con capacità di flessibilità imprenditoriale indiscusse. Allora perché non valutare qualche ipotesi rilancio e di aiuto? Da qui è partito un tam tam per interessare la stampa, le tv, i giornali. Ma il silenzio ha fatto eco al disinteresse dei timonieri. Meglio pensare alle proprie tasche in questo periodo. E se mancano i soldi è colpa ovviamente delle politiche economiche del governo. E di nessun altro. Soprattutto quando si deve licenziare senza ricorrere a tutti quegli strumenti previsti a tutela dei lavoratori. di Gianluigi Nuzzi

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