Giulio è ostaggio dei suoi nervi

Andrea Tempestini

Assolto, anche dal principe dei suoi detrattori, Guido Crosetto: «Ma sì», dice, «oggi ho parlato in radio della sparata di Tremonti sulla stabilità trovata in Spagna andando alle elezioni. Però le agenzie mi hanno capito male, titolando su una mia richiesta a Tremonti di dimettersi. Io volevo dire un’altra cosa: se davvero pensa che questo governo sia un male per questo paese, Giulio dovrebbe dimettersi. Siccome non si è dimesso, significa che non pensa quello. E che quindi martedì all’estero ha solo compiuto una delle sue tante gaffe». Velenosa, ma è un’assoluzione. Non dissimile da quella di un amico non politico di vecchia data, che spiega: «Non lo sento da qualche settimana. Però sarei propenso a pensare che Tremonti che sia inciampato in una gaffe e non in altro. Un piano politico? No, lo escludo. Non era capace di piani politici prima, credo ancora meno adesso, da quando lo ha scosso il caso di Marco Milanese portandogli certamente via lucidità. E poi le sembra che il suo comportamento su Bankitalia abbia qualcosa di politico?». Certo, qualche complottista c’è, nelle fila della maggioranza. Anche chi paventa che il ministro dell’Economia stia tessendo una ragnatela internazionale per imbrigliare il suo presidente del Consiglio. Il sospetto pare sia venuto perfino al diretto interessato, ma non sarebbe la prima volta in questi anni di un Tremonti al centro degli sfoghi privati di Silvio Berlusconi, che il giorno dopo però vengono ammainati. IL NON POLITICO L’impressione di Crosetto e dell’amico di vecchia data è per altro assai diffusa anche fra i colleghi che più hanno frequentato o incontrato il ministro dell’Economia per ragioni politiche o istituzionali in questi anni. Tutti sanno che Tremonti ha buone qualità tecniche, che spesso risaltano ancora di più in un Parlamento non particolarmente attrezzato dal punto di vista professionale. Le sue doti politiche furono esaltate ai tempi del recupero che personalmente e con successo aveva inseguito della Lega di Umberto Bossi nel momento (seconda metà degli anni Novanta) in cui sembrava irrimediabilmente perduta per lo schieramento conservatore italiano. Ma in quel giardinetto politico Tremonti si è confinato, e nemmeno quello valse per impedirne la temporanea decapitazione durante la legislatura 2001-2006. Qualcosa di simile è accaduto in tempi più recenti: quando è in gioco la politica, anche per la Lega rapporti personali e uomini passano in secondo piano e Tremonti ha vissuto per questo nel 2011 i suoi amari momenti di isolamento. Il ministro dell’Economia ha una certa capacità di movimento nella politica economica internazionale, ma nel suo Paese assai meno. Non ha truppe con sé e il potere che esercita è strettamente legato al suo incarico. Tremonti, come molti professori, è vanesio. Non deve avergli fatto dispiacere l’essere citato in salotti che contano (soprattutto quelli che reggono l’impresa del suo amato Corriere della Sera) come l’alternativa più solida alla disfatta del centro destra. Magari anche come il possibile successore di Berlusconi nel cuore di poteri forti. Ma il piacere non deve essere durato più della ruota del pavone, perché seriamente alla congiura di palazzo Tremonti non avrebbe mai partecipato. ALTRI PROBLEMI In ogni caso ogni tentazione è sicuramente passata, perché ai primi albori del caso Milanese quella pallida ipotesi è immediatamente tramontata, e il ministro dell’Economia ha avuto ben altre vicende di cui preoccuparsi. Certo la serenità non è stata grandissima nel momento in cui si intrecciavano amare vicende personali con le difficoltà dei conti pubblici nazionali. E già ad agosto fece impressione Tremonti quando andò a spiegare la crisi alle commissioni riunite in emergenza: «non sembra più lui», sussurrava chi lo incontrava, «pare insicuro, timoroso dei rapporti personali… quasi il fantasma del ministro che fu». Forse a questo, certamente al suo carattere, si deve qualche scivolata di Tremonti in queste settimane, gaffe sulla Spagna compresa. In questo caso a fargli perdere le staffe e ragionare assai poco è stata l’insistenza petulante di un giornalista. Tremonti è fatto così: si intigna, si fa ingabbiare in querelles personali, il carattere lo spinge fatalmente in trappola. È accaduto in conferenze stampa, è accaduto nei consigli dei ministri. Accade spesso e come dice il suo amico in trappola sembra essere finito anche nella vicenda di Banca d’Italia. In cui Tremonti si mostra tutto fuorchè pianificatore politico: mosso forse dall’amicizia per il suo direttore generale, Vittorio Grilli, certamente dalla viscerale inimicizia nei confronti dell’attuale governatore della Banca di Italia e futuro presidente della Bce, Mario Draghi (che inanella decine di episodi, fin comici), il ministro dell’Economia si è infilato in un imbuto che tutto può essere fuorchè un calcolo di fine politica... di Franco Bechis