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Lo scoglio Giorgio Napolitano. Così vuole 'sfiduciare' Silvio

Quirinale contrario all'uso del decreto legge per le misure anti-crisi. Maxiemendamento è meglio. Però è più lento: un controsenso

Giulio Bucchi
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La moral suasion che Giorgio Napolitano sta esercitando in queste ore è duplice e corre su un filo sottilissimo. Da una parte chiede al governo - e ieri è tornato a farlo con durezza - di approvare subito, ma col massimo del confronto, e dunque non con un decreto, le riforme chieste dall'Europa e dalla Bce. Quelle che Silvio Berlusconi, con una lettera, si è impegnato a fare. Dall'altra chiede all'opposizione di fare la propria parte. Perché in un momento così «critico» per il Paese, serve una «larga condivisione» delle scelte chieste dall'Europa. E proprio con il governo, ieri, la giornata è stata tesissima. Il Colle ha bloccato il tentativo di utilizzare un decreto per tradurre in legge le misure che l'esecutivo stava per approvare in consiglio dei ministri. Misure che incidono su welfare e diritto del lavoro, come quella sui licenziamenti - è stato il ragionamento - non possono essere affidate a uno strumento d'urgenza. Meglio un maxi-emendamento alla legge di stabilità, già all'esame del Parlamento. Questo però - per la maggioranza - ha l'inconveniente di anticipare (rispetto al decreto) un voto in Aula che, di questi tempi, è un test molto rischioso. Poche ore prima, incontrando le opposizioni, il Colle aveva invitato alla «larga condivisione» proprio sulle misure del governo. Ma è chiaro che se il provvedimento contiene misure come quella sui licenziamenti, ogni confronto diventa impossibile. Se poi il governo non dovesse riuscire ad arrivare fino in fondo, o se risultassero decisivi i voti dell'opposizione, un minuto dopo il premier dovrebbe dimettersi. Le consultazioni informali iniziate ieri con le opposizioni (e che continueranno con la maggioranza) a questo puntano: spingere a un'intesa la più ampia possibile nell'interesse del Paese. Con questo o con un altro governo, non spetta al presidente dirlo. Napolitano valuterà ogni alternativa: o un governo tecnico o uno di centrodestra, guidato da un altro premier (i nomi che girano sono sempre quelli di Renato Schifani, la via più istituzionale, o di Gianni Letta).  Muro contro muto - Le consultazioni anche a questo sono servite: verificare la disponibilità delle forze politiche a soluzioni alternative, nel caso di una crisi di governo. Ma finché c'è questo esecutivo in campo, non si va oltre le ipotesi. Su questo Napolitano è sempre stato chiarissimo. Il che non significa che non nutra molto scetticismo sulla reale capacità di questa maggioranza di approvare subito le riforme necessarie.  Quello che ha ripetuto alla delegazione del terzo polo (Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Italo Bocchino, Benedetto Della Vedova e Francesco Rutelli) e a quella del Pd (Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e i due capigruppo, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro) è, in sostanza, questo: il momento è drammatico, fate la vostra parte. Non per salvare questo governo, ma «per il Paese». L'altra faccia della medaglia è quello sta dicendo alla maggioranza: siate disponibili a un confronto serio, vero, con l'opposizione. Evitate il muro contro muro, per esempio la scelta di porre la fiducia. Dimissioni  La risposta di  Pd e Terzo polo è stata quasi identica: siamo pronti, ma a patto che Berlusconi si dimetta. “Quasi” perché il terzo polo ammette un'altra possibilità: votare le misure del governo nel caso in cui Berlusconi, contestualmente, annunciasse che, una volta votate, rassegnerebbe le dimissioni. Ma è un'ipotesi che Casini ritiene impossibile. «Berlusconi non lo farà mai». Dunque, la via resta quelle delle dimissioni e di un altro governo: «Noi siamo disponibili a prenderci la  nostra dose di responsabilità per i sacrifici», ha spiegato il leader dell'Udc, «ma il problema di Berlusconi esiste e viene immediatamente prima del problema della crescita». La «credibilità» del premier e la mancanza di crescita sono i due nodi. Se non si risolvono entrambi, «rischiamo di fare sacrifici inutili». Stessa linea è stata quella illustrata da Bersani: il Pd «è pronto ad assumere la responsabilità di un governo di transizione e emergenza». Ma «senza discontinuità ogni provvedimento è inutile». Una posizione che cerca di tenere insieme chi vorrebbe andare subito alle elezioni e chi, invece, spinge per un esecutivo di transizione. Resta il fatto che il rapporto tra il presidente e il suo partito di origine, in queste ore, è molto difficile. Da una parte Napolitano non avrebbe apprezzato il fatto che il Pd, ieri, non abbia subito risposto alla nota in cui sollecitava una «larga condivisione» (mentre Casini sì). Dall'altra nel Pd si critica il pressing che il Capo dello Stato avrebbe fatto sul suo partito. «La condivisione va bene», diceva un autorevole dirigente, «ma non ci può chiedere di mettere la faccia su misure lacrime e sangue con Berlusconi ancora al suo posto». E a mettere nero su bianco queste critiche è la Velina Rossa: «Stiamo assistendo a una pressione enorme delle cariche istituzionali sull'opposizione perché partecipi a mettere una toppa ai danni e ai guasti del Cavaliere. Ma non ci si rende conto che si sta chiedendo un po' troppo, anche se tutto ciò viene fagocitato con l'appello alla salvezza della Patria?». «Attenti alla piazza» Sembra poi che il presidente della Repubblica abbia fatto arrivare ai Democratici la sua preoccupazione per la manifestazione organizzata per sabato. In un momento in cui il principale partito dell'opposizione si dice di pronto ad assumersi le proprie responsabilità il rischio è che le parole d'ordine della piazza finiscano per contraddire quell'impegno. Non è un caso, poi, che Napolitano (almeno per ora) non abbia convocato l'Italia dei Valori. E nemmeno la Lega, almeno in un primo tempo. Anche se poi a sera Umberto Bossi ha assicurato che oggi anche loro saliranno al Quirinale. Quanto ad Antonio Di Pietro, ieri, ha messo in chiaro che l'Idv è contraria a un governo “con tutti dentro”: «Non daremo il nostro beneplacito a un governo di "larghe intese" prima di vedere in concreto se c'è una maggioranza, che cosa intende fare e chi dovrebbe guidarla». Anche se non ha chiuso del tutte le porte a un governo «alternativo». Ma a tre condizioni: «che Berlusconi non possa e non debba più governare». Che questo governo «abbia un'ampia maggioranza». E a patto che si discutano le «riforme che si vogliono fare». Non daranno il loro appoggio a nessuna «macelleria sociale» ispirata  dalla Bce. Appunto. di Elisa Calessi (vai al Blog)

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