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Bossi si prepara all'opposizione. Maroni vuole Letta, lui il voto

I padani al Quirinale: o Berlusconi o urne subito. Il Senatùr vuole star fuori da altri governi. Ed è gelo con Tremonti

Giulio Bucchi
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Gianni Letta divide Bossi e Bobo Maroni. Sarebbe l'ipotesi di un governo tecnico, guidato dal sottosegretario e braccio destro di Silvio Berlusconi l'ultimo nodo tra il Senatùr e il ministro degli Interni. Il primo (ed è la linea presentata dalla Lega a Napolitano) pone un aut aut: o si va avanti con questo esecutivo oppure è meglio andare al voto anticipato, il prima possibile, senza giochetti. Il ministro invece, anche per smarcarsi e assumere una posizione autonoma, sarebbe disposto ad ascoltare le proposte di frondisti Pdl, centristi ed opposizione in genere, per finire la legislatura. Di seguito l'articolo di Matteo Pandini Ufficialmente la Lega punta solo su Silvio Berlusconi o, in alternativa, sulle urne. Mai e poi mai parteciperebbe a un nuovo esecutivo, che oltretutto sarebbe costretto a intestarsi scelte impopolari. La pattuglia padana che ieri s'è presentata dal capo dello Stato (Bossi, i ministri Calderoli e Maroni e i capigruppo Bricolo e Reguzzoni) ha chiarito il concetto, ma l'emorragia che sta interessando il Pdl mette la maggioranza davanti a una durissima realtà. Il governo rischia di colare a picco martedì sul rendiconto generale dello Stato, che già aveva mandato sotto la maggioranza meno di un mese fa. Ecco perché nelle ultime ore si fa un gran chiacchierare di un esecutivo a guida Gianni Letta, così come chiesto da ampi settori del Popolo della Libertà e non solo. Detto che Bossi non vede alternative al Cavaliere, a maggior ragione non digerirebbe una promozione dell'attuale sottosegretario. Letta è classificato come avversario del federalismo. Fu lui a mettersi di traverso, nel 2008, per impedire l'investitura di Calderoli a vicepremier. Ed è sempre Letta, per dirne un'altra, che sullo scontro Malpensa-Fiumicino ha sempre tifato per lo scalo capitolino facendo asse col sindaco di Roma Gianni Alemanno. Per non parlare dei rapporti con i cosiddetti poteri forti, Vaticano compreso, che non piacciono per niente a Umberto. Nei corridoi di Palazzo, i lumbard non si sbilanciano e ripetono che tutto sarà deciso da Bossi. Fatto sta che anche i maroniani non sembrano entusiasti di un eventuale esecutivo Letta, nonostante il ministro dell'Interno - butta là qualcuno dei suoi - non si dispererebbe, visto che l'attuale maggioranza si sta sbriciolando e pare incapace di realizzare le riforme promesse. Nell'attesa si resta a galleggiare, con grande sconforto dei parlamentari che, settimana scorsa, erano stati precettati dal leader in persona per battere palmo a palmo la Lombardia. Obiettivo: incontrare i militanti per spiegare l'attuale situazione politica. Peccato che nessuno potesse immaginare l'improvviso peggioramento della salute del governo. In tutto questo spunta un altro nodo che si chiama Giulio Tremonti, adorato da Bossi e da Calderoli, visto con diffidenza da Maroni e addirittura detestato dai sindaci leghisti. Nel consiglio dei ministri straordinario di mercoledì il titolare di via XX Settembre ha fatto inferocire anche il collega della Semplificazione. Il sospetto dei lumbard è che il professore di Sondrio abbia brigato con Napolitano per stoppare un eventuale decreto sulla crisi, che in via Bellerio davano per scontato. A questo si aggiungono i sospetti per cui Tremonti, senza dire nulla, stia accelerando per sostituire il Cavaliere. Il tutto cinguettando con l'onnipresente capo dello Stato. Tra il superministro e la Lega c'erano state tensioni anche in passato. Per esempio dopo il raduno di Pontida, quando Bossi accusò apertamente alcune scelte di via XX Settembre attaccando Equitalia. Tremonti rifiutò di vedere gli alleati per un po'. Ma mai erano stati raggiunti livelli così aspri, nonostante lunedì Tremonti e Bossi si fossero fatti fotografare insieme alla Festa della Zucca di Pecorara, a Piacenza. A consolare i leghisti, c'è il fatto che Napolitano li ha rassicurati: non ci saranno maggioranze alternative all'attuale e con Pdl o Lega relegate all'opposizione. «Meglio il voto che il governo tecnico» ha quindi ribadito Bossi. Roberto Calderoli sprizza ottimismo, giurando che il rapporto col presidente della Repubblica va «bene, sempre bene... anche meglio». Settimana scorsa, Maroni s'era raccomandato coi suoi. Aveva chiesto di abbassare il volume delle polemiche, per non dare l'idea di voler mettere a rischio il governo per problemi interni ai lumbard. Temeva, Bobo, che gli scaricassero la colpa di una crisi dagli esiti imprevedibili. Anche per questo sembrano lontane anni luce le ipotesi di un esecutivo guidato non da Letta ma proprio da Maroni: prenderebbe in mano il pallino a legislatura avanzatissima, col dovere di assumere scelte impopolari e senza certezza di portare a casa le riforme. «Fantapolitica» giurano da via Bellerio. In questo quadro c'è la convinzione che i parlamentari del Pdl «non hanno la minima intenzione di andare al voto», anche perché - spiegano alcuni deputati lumbard - in caso di elezioni molti di loro vogliono avere la certezza di ottenere il vitalizio, che però richiede 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. A questo si aggiungono i timori interni alla Lega: le urne converrebbero di meno ai maroniani, perché il cerchio magico (i colonnelli più vicini alla famiglia del leader) avrebbe campo libero per scegliere i candidati e far piazza pulita dei rivali, grazie al Porcellum. Cambiasse la legge elettorale, lo scenario muterebbe. Bossi, dopo il vertice al Quirinale, ha chiacchierato fitto fitto con un pugno di fedelissimi e poi è tornato precipitosamente a casa, nella sua Gemonio. E sta in silenzio. Qualche leghista allarga le braccia: «Una volta, in situazioni del genere faceva il bello e il cattivo tempo. Adesso invece...». Adesso Bossi aspetta. In silenzio. di Matteo Pandini

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