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Nel Pd il dramma di Bersani: vuole votare ma non può dirlo

La sinistra al lavoro per traghettare parte del Pdl nel governo Monti per evitare le urne: Idv e Vendola fanno tanta paura

Andrea Tempestini
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A sera nel Pd e nel terzo polo la domanda è la stessa: cosa succederà nel Pdl? Perché se è vero che, come ha detto Pier Luigi Bersani all'uscita del premier dal Quirinale, l'annuncio da parte di Silvio Berlusconi delle sue dimissioni dopo l'approvazione della legge di stabilità comporta l'apertura di «una nuova fase», quale essa sia ancora non si sa. Se il Pdl si spaccherà, se un pezzo sarà disposto a sostenere un governo Monti, bene. Se no, non c'è altra via: si vota a gennaio. Del resto, che l'alternativa fosse questa è chiaro fin dal tardo pomeriggio. Verso le sei di sera, dopo il voto sul rendiconto che ha fatto precipitare la maggioranza a quota 308, Pierluigi Bersani, nel corridoio di Montecitorio riservato ai fumatori, scommette (o spera) sull'esplosione del principale partito del centrodestra: «Vedrete che ci sarà uno smottamento nel Pdl. Qualcosa lì dentro sta succedendo. Non è che quei signori là che lavorano nella finanza telefonano solo a me. Qualche telefonata la faranno pure a loro. Spero che comincino a dirgli qualcosa. Anche perché non abbiamo molto tempo. Neanche 15 giorni. Quei giochini lì (prendere la fiducia al Senato, poi venire alla Camera e farsi sfiduciare, n.d.r.) non si possono mica fare». Tutta l'attenzione dei vertici democratici è sul Pdl: quanti molleranno Berlusconi? Gli rimarranno tutti fedeli, seguendolo sulla via delle elezioni, o (per forza o per calcoli personali) sceglieranno altre strade? Per il resto, le certezze sono poche. Una è che terzo polo e Pd (non l'Idv) hanno deciso di marciare insieme.  Quando, dopo l'approvazione della legge di stabilità, Giorgio Napolitano darà il via alle consultazioni,  Bersani e Casini chiederanno il governo Monti, magari con Gianni Letta vicepremier. Ipotesi sostenuta soprattutto da Walter Veltroni (tra i primi a proporlo), da Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni, insomma da tutta la minoranza del partito. Ma a una condizione: la base parlamentare deve essere la più larga possibile. Veltroni ieri ha parlato a lungo con Casini. E anche tra il segretario del Pd e il leader centrista il patto è questo. Nessuno dei due accetterà altre ipotesi. Per varie ragioni. I maligni dicono perché il Pd ha offerto a Casini la presidenza della Repubblica. La versione più presentabile la spiega, invece, uno che il Parlamento lo frequenta da una vita. Dice Renzo Lusetti, Udc: «Noi senza il Pd e senza il Pdl non andiamo da nessuna parte. Chi ce lo fa fare di caricarci addosso delle riforme lacrime sangue o di farci arruolare nel centrodestra? O tutti o nessuno». Al Pdl offriranno la vicepresidenza, ma anche di più: «Va bene anche se restano alcuni dei ministri attuali», ragiona Ferdinando Adornato. L'importante è che la guida segni una «discontinuità». Cioè che il premier non sia del centrodestra. Il governo Alfano, per dire, non va bene. E se Pdl e Lega dovessero dire “no” a un governo Monti? «Si assumeranno la responsabilità di andare alle elezioni portando l'Italia al tracollo», riflette Francesco Rutelli. «Ma possono farlo?». Per il leader di Api succederà come in Grecia: saranno i mercati a imporre l'ex commissario Ue: «L'Italia è troppo esposta sui mercati perché la Bce permetta di andare alle elezioni».   La linea del Pd, ufficialmente, è la stessa: a Napolitano chiederanno un governo guidato da «una personalità di grande credibilità internazionale» che tenga dentro il terzo polo e chi del Pdl ci sta: cioè Mario Monti. Sperando, come dice Bersani, nello «smottamento» del primo partito del Parlamento. «Basterebbero una settantina di deputati del Pdl», si ragiona al Nazareno. Diversamente, non c'è altra via se non le elezioni. Avere contro da una parte Berlusconi e la Lega, che per un anno sparerebbero contro il governo del ribaltone, dall'altra Sel e l'Italia dei Valori, che già si sono pronunciati contro un governo di larghe intese, è un prezzo troppo salato. La verità è che, almeno per Bersani, le elezioni non sono affatto una iattura. Riflette un bersaniano: «Chi ce lo fa fare di dar vita a un governo che dovrà fare la patrimoniale e la riforma delle pensioni? E poi non si può fare un governo senza i vincitori delle elezioni. A meno di una slavina nel Pdl, si vota a gennaio. Altrimenti daremmo un'arma straordinaria al Pdl. Per un anno ci accuserebbero di aver fatto il ribaltone e poi rivincerebbero alle elezioni». La strada del governo tecnico, insomma, è in salita. di Elisa Calessi

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