Festa dei pagliacci di sinistra Ma ha perso tutta la politica

Andrea Tempestini

Il giorno che celebra la più clamorosa sconfitta della rappresentanza politica nel nostro Paese si conclude con i trenini sotto il Quirinale, i cori da stadio contro Berlusconi, il tentato assalto alle auto di scorta, la sostanziale esultanza della sinistra di piazza e non solo per l’arrivo di un governo privo di legittimazione popolare diretta e, diciamo, non privo di contatti con l’establishment finanziario sovranazionale. Silvio Berlusconi chiede di in serata di posticipare le dimissioni. Napolitano fa sapere che lo aspetta di lì a poco. Pierluigi Bersani, passato in un giorno da capo dell’opposizione a forza di governo, interpreta con prontezza la nuova condizione dopo le 20.50: prima dirama via Twitter la linea: «In questo momento sto smacchiando la coda», con citazione di Maurizio Crozza. L’imitatore del comico dice anche è «merito del Pd» se è caduto Berlusconi, avverte un senso di «liberazione». La libertà pare molto provvisoria e ha un sapore aspro. Il primo grande dilemma per la folla sotto palazzo Grazioli e sotto il Quirinale è se sia opportuno o meno lanciare monetine di questi tempi. Qualcuno riterrà di sì, permettendo ai giornali di farci i titoli e di infarcire ironie sul fatto che sarebbe stato meglio tenersele, in vista di quanto avverrà. Silvio Berlusconi è appena uscito dal Quirinale ed è un po’ dimesso, come ghignano in molti:  è costretto a scegliere un ingresso laterale del Quirinale. Dopo pochi minuti Barack Obama ha definito «positivi» i cambi di governo di Grecia e Italia. Uno schiaffo multiplo, e di proporzioni monumentali. Sotto il palazzo di Napolitano, un migliaio di persone fa caroselli, filma con i telefoni i giornalisti che li filmano con le telecamere. Il coro di Santa Cecilia canta l’Alleluja in piazza. Altri cori più gettonati vengono dalla gente: vanno  dal «Te ne vai o no / te ne vai sì o no» al «Buffone / buffone / buffone» fino al più plastico «Silvio / Silvio / vaffanculo» e l’inno garantista: «Galera, galera». Le signore fanno ciao ciao con la manina ammiccando in camera, partono i trenini, gli ululati, poi ancora i cori, gli striscioni, gli insulti. Ci si mette pure Formigoni che fa il medio. Composti festeggiamenti anche all’Arco della Pace, a Milano. Grazie a Dio, niente violenze in un clima comunque buio, scandito dai lampeggianti delle scorte. La tremenda irrazionalità della gioia per un governo abbattuto dallo spread è tutta nel commento di Pier Luigi Bersani: «E adesso rimettete la fermata dell’autobus a via del Plebiscito». Le misure anti-crisi del governo di unità nazionale. Buon lavoro. di Martino Cervo