'Don Baget Bozzo è stato ucciso' Si indaga per omicidio colposo

Lucia Esposito

Macché infarto o ipertensione arteriosa. Don Gianni Baget Bozzo è stato ucciso». Non esiste alternativa possibile per Albertina Montanaro, l’amata cugina del prete politologo morto la notte dell’8 maggio 2009, venerdì. Lei, la parente più amata e più prossima, ma anche la più esclusa dall’eredità milionaria lasciata in terra dal sacerdote, ha scatenato un terremoto. Tanto che la Procura di Genova, magistrato Luca Scorza Azzarà, ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Nei confronti di chi? Ovvio: del medico geriatra Patrizio Rinaldi Odetti, erede universale del defunto, almeno secondo un testamento che adesso viene messo in discussione dalla denunciante rimasta con le mani vuote. Albertina Montanaro non è la sola a giurare che le ultime volontà di padre Gianni non siano state rispettate. Con lei c’è una schiera di amici e parroci e domestici e nipoti che frequentavano la casa di Carignano dove don Baget Bozzo abitava. Un suo intimo confidente, il signor Paolo Possenti, dichiara addirittura al pm di avere visto un testamento olografo redatto dal prete tre mesi prima di dipartire. «Era datato 11 febbraio 2009. L’ho visto con i miei occhi», dice il testimone. Quel prezioso documento è però sparito. Perché? Oppure dov’è, se è vero come è vero, che c’era? «Il don lo teneva nel comodino», sottolineano parenti e amici stretti. Ma dopo la sua morte non si è più trovato. Eppure il mese di aprile dello stesso anno padre Gianni avrebbe dovuto discuterne i contenuti con un notaio romano, tanto che aveva fissato appuntamento per aprile. Incontro poi saltato per un disagio nei voli. Don Gianni, dicono tutti, voleva formalizzare lo smistamento dei suoi averi ai destinatari prediletti. Non poche cose: in questo mondo il padre ha infatti lasciato almeno un paio di milioni di euro. E poi ci sono i diritti d’autore sui numerosi libri da lui scritti, i soldi sui conti e i titoli vari. Senza tralasciare le preziose suppellettili di casa. Il prete savonese, stando al testamento considerato valido dal notaio Rosaria Bono, ma non dai chi adesso intende impugnarlo, ha destinato tutto al suo storico dottore. L’uomo che lo salvò dal tumore al colon, ma che secondo i parenti lo avrebbe ucciso dandogli da bere sali minerali (ovvero Gatorade) invece che le medicine, quando stava male. Chissà se è vero, come tutti dicono, che è morto per un blocco intestinale che poteva essere fermato e non per un infarto al miocardio. Sta di fatto che don Gianni ha lasciato il mondo terreno e la Chiesa di Genova di cui lui era orgoglioso  alfiere, non ha ereditato nulla. Niente nemmeno alla Parrocchia del Sacro Cuore di Carignano dove lui ha celebrato messa fino a quattro giorni prima di partire. Zero ai parenti, se si esclude la cugina Francesca Tedeschi destinataria di un appartamento e pochi soldi. Certo, il vecchio segretario Tiberio Santomarco ha avuto la statua della Vergine che il prete teneva accanto alla poltrona. Ma tutto il resto, ovvero il grosso, è andato al dottore Patrizio Rinaldi Odetti, insieme con l’orologio d’oro che Silvio Berlusconi aveva regalato all’amico e supremo consigliere padre B. Eredità a parte. Quel che non va a giù ad Albertina Montanaro, a sua figlia Eleonora e alla nipote Francesca è quello che loro definiscono «l’omicidio». Nessun dubbio, denunciano al pm con una memoria spietata e depositata dall’avvocato Ennio Di Rella: «La morte di don Gianni Baget Bozzo fu una morte annunciata e procrastinabile per giorni, settimane, mesi, anni se gli fossero state somministrate le doverose cure». E invece? Invece le cose sarebbero andate diversamente: il sacerdote muore di notte nella sua casa di Carignano, in via Corsica 9. Interno 17. Con lui c’è soltanto il badante Freddy Mamani Guanachi, che chiama il dottore. Questi redige un referto secco: ipertensione arteriosa, decesso per infarto al miocardio. L’autopsia non serve. Ma fare un passo indietro sì. E’ il 4 maggio 2009. don Gianni celebra la messa quotidiana delle 8 al Sacro Cuore. Nel pomeriggio telefona all’amico don Rocco De Nisi: «Per favore, domani mattina dovrai sostituirmi tu. Ho mangiato dei ravioli che devono avermi fatto male… Non me la sento di celebrare». Il 5 maggio l’amico Franco Vassallo va a fargli visita e al pm dichiarerà di averlo trovato «in pessime condizioni, rantolante, da ricoverare».  Il giorno successivo, mercoledì 6, arriva Odetti che gli dà da bere il Gatorade: sali minerali, come si trattasse di un atleta disidratato. E non di un prete che si stava aggravando. A don Gianni si gonfia la pancia. Vomita e rantola. Don Rocco gli manda la dottoressa Bianca Santolini: gli inietta Plasil e al pm dirà: «La mia impressione fu che il paziente era molto grave e necessitava di grande attenzione». Don Gianni resta a casa. Non viene ricoverato in ospedale e muore. Spariscono le medicine dal suo comodino. E soprattutto scompare il testamento olografo. Quello datato 11 febbraio 2009. Cosa c’era dentro?  di Cristiana Lodi