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Gli albanesi e i cinesi in Italia non fanno nascere femmine

Aborti selettivi: secondo i dati Istat mancano all'appello centinaia di bambine. Una pratica condivisa con gli indiani

Giulio Bucchi
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Mancano all'appello centinaia di bambine, concepite da madri albanesi, ma cadute vittime sul territorio italiano dell'aborto selettivo. Per i loro fratellini maschi, invece, nessun ostacolo. Anzi, risultano perfino più fortunati degli italiani, secondo i dati dell'Istat sulla “sex ratio”. Nel decennio 1999-2009, i nati maschi nella comunità albanese residente  in Italia sono 107,3 a fronte di 100 femmine. Negli ultimi tre anni, però, la proporzione cresce fino a 109,2, mentre la media italiana è rimasta ferma a 105 maschi e 100 femmine, allineata con quella mondiale. È una piaga, le cui dimensioni saranno illustrate il primo dicembre, durante un convegno che si terrà a Parigi, dal demografo francese Christophe Guilmoto, tra i maggiori esperti del deficit demografico femminile. Emergenza - A confermare che la selezione del sesso alla nascita è ormai un'emergenza nazionale, sono anche le ricerche svolte dalla Regione Toscana sulla comunità albanese e il libro Mai nate. Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne della giornalista scientifica Anna Meldolesi, edito da Mondadori, in cui sono prese in esame altre comunità di immigrati, in particolare di origine cinese e indiana. Negli ultimi due casi, la tendenza rilevata negli ultimi quattro anni si rivela ancora più preoccupante: ogni cento neonate cinesi nascono centonove maschi. Dai terzogeniti in poi, la disparità aumenta a centodiciannove. Fra gli indiani, i maschi superano le femmine 141 a 100. Una strage, più che uno squilibrio, che ha origine nella discriminazione sessuale che vede le donne come una sventura improduttiva. Così, quando un semplice esame del sangue o le analisi che si effettuano entro le prime dieci settimane di gravidanza, come la villocentesi, rivelano che il dna del feto è femminile, si procede con la soppressione a spese della sanità pubblica. Altrimenti, se la “cattiva notizia” arriva con l'ecografia morfologica, al quinto mese, la macelleria è affidata a strutture che praticano aborti clandestini, con ulteriore pericolo per le gestanti. Fenomeno globale - Come risultato di decenni di politiche antinataliste, diffuse anche in modo ricattatorio nei Paesi in via di sviluppo, le pressioni per il controllo delle nascite hanno finito per provocare la morte delle creature più deboli. In Albania, dove fra il 2004 al 2009 il Pil è aumentato mediamente del 6% annuo, il tasso di fertilità è contemporaneamente diminuito da 3,2 figli per donna del 1990 all'1,5 del 2010, e i dati delle Nazioni Unite indicano che il rapporto tra maschi e femmine alla nascita è di almeno 115/100. Ora il fenomeno, di dimensioni mondiali, che nasconde una carneficina di bambine, condannate a morte prima della nascita soltanto perché sono femmine, va sotto il termine “genericidio”. Lo adottano, in blandi documenti di denuncia, anche le istituzioni internazionali. Il Consiglio d'Europa nella risoluzione 1829 del 3 ottobre scorso, aveva indicato le aree più sensibili in Albania, Armenia, Azerbaijan e Georgia. Ma, «se ormai la situazione è tale anche in Italia», afferma il parlamentare dell'Udc Luca Volonté, che aveva affrontato per primo l'argomento con una mozione del maggio 2010, «occorre una richiesta ancora più urgente affinché sia attuata pienamente la risoluzione dell'assemblea di Strasburgo». Altrimenti, i timori di trovarsi di fronte alla sovrappopolazione si trasformeranno in preoccupazioni per lo spopolamento, proprio a partire dalle aree del pianeta dove scarseggiano le donne. di Andrea Morigi

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