Soffia vento di guerra all'Iran Anche l'economia lo dice

Lucia Esposito

Crisi economica mondiale, finanza in fallimento, classi dirigenti screditate, elezioni alle porte in Occidente con premier e presidenti uscenti in crisi di credibilità, naturale e conseguente clima di complotto; dall’altra parte un Paese canaglia di torturatori in nome dell’islam, pronto spudoratamente al nucleare, in grado di destabilizzare un’area intera già lasciata al caos  in nome di pseudo libertà e un piccolo Paese avamposto d’Occidente, stanco di guerra ma pronto a farne ancora una e tremenda; infine la guerra, una forma di guerra ancora da vedere e provare,  soluzione di tutti i mali, forse. Vi basta come chiave di lettura di quanto è accaduto ieri a Teheran in grottesca imitazione di quel che accadde più di trent’anni fa e segnò l’era degli ayatollah, e costò la presidenza a un americano e democratico inetto, Jimmy Carter? Il regime di Ahmadinejad risponde platealmente in diretta tv alle sanzioni, le prime serie dopo anni di grandi intese commerciali, reagisce alla convinzione di essere al centro di una guerra segreta e preparatoria di un’altra, lanciata da americani, inglesi e israeliani, da alcuni Paesi del Golfo, e occupando l’ambasciata britannica manda a dire che sarà un confronto tremendo, dalle implicazioni gravissime per i belligeranti in capo, e dall’esito incerto, come minimo simile a quel che fu nel 1979 per l’assalto all’ambasciata americana, come massimo un disastro nucleare, e il cielo ci scampi dall’evocare le profezie sul 2012. Certo è che sia pur nel silenzio internazionale, tutti a parlare di spread e bond, il dossier dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha  aperto scenari inaspettati nello scacchiere mediorientale: Teheran si sta armando nuclearmente, è una certezza. I principali attori internazionali sono stati chiamati a esprimersi fuor di tremori diplomatici. Mi scappa da ridere pensando all’attendibilità dell’Italia gestita da un governo di tecnici e diplomatici, più qualche frequentatore di polverosi convegni internazionali. Obama tentenna, non si decide ancora ad annunciare quale sarà la posizione che gli Stati Uniti assumeranno. Momento difficilissimo per lui e per la politica Usa: parte la campagna elettorale che se solo i repubblicani tirassero fuori un candidato credibile, Obama saprebbe di perdere, gli serve di mantenere il voto dell’elettorato americano ebreo che non lo ama e ne è stato deluso, forse gli serve perfino un Paese distratto da una guerra inevitabile e giusta. Non dubitate del cinismo dei progressisti pacifisti. È lo stesso presidente che ha porto stoltamente la mano agli ayatollah indebolendo così micidialmente l’Occidente e i moderati in Medioriente. Israele si prepara alla guerra. Gerusalemme è pronta a lottare fino all’ultimo per garantire la sopravvivenza al suo popolo e allo Stato. Gli Stati Maggiori delle Forze Armate israeliane sono in stato di allerta, l’aviazione, la Israeli Air Force (Iaf) avrebbe condotto all’inizio di novembre una campagna di addestramento insieme all’aviazione italiana e ad altre di «Paesi della Nato» nella base aerea di Decimomannu in Italia.  Insisto, che tipo di autorevolezza avrebbe oggi anche solo per un’esercitazione un governo di tecnici completamento slegato dal Parlamento e dal Paese? Qui si parla di preparare le forze armate dei Paesi coinvolti per operazioni antimissilistiche di lunga gittata.  Veniamo alle ipotesi. La prima. Una nuova  aperta «coalizione dei volenterosi» coinvolgerebbe secondo fonti britanniche l’impiego dell’aviazione e della marina. Unità navali, sottomarini, cacciabombardieri starebbero nell’Oceano Indiano, nella base statunitense di Diego Garcia, da dove sono partiti gli attacchi aerei durante la prima guerra del Golfo, la guerra in Afghanistan, e la guerra in Iraq del 2003. La seconda. Le fonti sono a Washington. Sotto l’egida Nato, Washington, Londra, Parigi, Berlino e Roma, con il comando statunitense, lancerebbero un’operazione congiunta per la distruzione delle installazioni nucleari iraniane ma colpirebbero anche il Corpo delle Guardie della Rivoluzione e le loro infrastrutture strategiche. Israele sarebbe fuori dall’attacco ma pronta alla difesa e alle ritorsioni in forma di bombardamenti e incursioni sul suo territorio provenienti da Paesi e/o gruppi vicini a Teheran: il Libano di Hezbollah o la Palestina di Hamas, ma anche  la Siria, l’Arabia Saudita  e perfino la Turchia. Tutto accadrebbe nel giro di qualche mese, entro la primavera del 2012, giustificato dall’esigenza della cosiddetta difesa preventiva, visto che le intelligence occidentali sanno che gli iraniani sono pronti a stivare i missili nucleari all’interno di inattaccabili tunnel sotterranei. Ieri il regime ha mandato a dire che sarà una guerra terribile se ci sarà. di Maria Giovanna Maglie