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Il cinguettio dei direttori: bordate contro Monti sul web

Ezio Mauro e De Bortoli lodano il prof sui loro quotidiani mentre su Twitter si sfogano e lo criticano: incoerenti

Andrea Tempestini
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«Ah, ma quando sarò direttore io allora sì che potrò scrivere tutto quello che voglio». Lo ha sperato almeno una volta chiunque abbia mai lavorato in una redazione. Ai più sfortunati è successo davvero. E si sono ritrovati come Nenni al governo: finalmente nella stanza dei bottoni solo per rendersi conto che i bottoni, ammesso esistano davvero, devono stare da un'altra parte. Perché nemmeno i grandi capi, a quanto pare, scrivono quello che vogliono. Emblematici i casi dei direttori dei due principali quotidiani italiani (Corriere della sera e Repubblica) e del governo Monti. Questi giornali, fin dall'insediamento del Professore a Palazzo Chigi, non hanno lesinato apprezzamenti politici, tecnici e finanche antropologici (la sobrietà, la sobrietà!) al nuovo premier, relazionandone l'operato in termini assai elogiativi. Nulla di strano, in teoria. Non fosse che poi vai su Twitter e trovi i direttori delle citate testate a sostenere posizioni vagamente confliggenti con quanto mandato in stampa. Ezio Mauro (La Repubblica), tweet del 23 novembre scorso: «Governo lento, Monti deve accelerare, la crisi è più veloce»; pochi giorni dopo, si rincara: «Tutti ci chiediamo perché Monti non accelera. La riposta: cerca un equilibrio tra sacrifici e crescita. Non misure singole ma pacchetti», seguito da un eloquente «Ma abbiamo tempo?». Ieri è toccato a De Bortoli: «Alla fine verrà chiamato a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, il ceto medio. Soprattutto quello che le tasse le paga tutte», ha postato il direttore del Corriere su Twitter commentando le anticipazioni della manovra economica. Una linea assai critica, per paradosso simile più a quella di Libero («Una dichiarazione di guerra ai contribuenti onesti», titolava ieri questo giornale) che a quella, assai più felpata, del Corriere. A voler ironizzare si potrebbe dire che Twitter, per i direttori dei giornaloni, sta diventando una sorta di rifugio: quello che, per qualsivoglia motivo, non può o non deve finire in edicola trova spazio in Rete. Che poi non è nemmeno la cosa peggiore, in fondo. Perché alle volte capita che le storie rimangano direttamente nel cassetto. È successo l'anno scorso (ma la rivelazione è di pochi giorni fa) all'Unità. Dove l'allora direttore Concita De Gregorio non ritenne di pubblicare le indiscrezioni raccolte ai piani alti del Pd circa la volontà del Nazareno di non spendersi più di tanto per tirare la volata alla Bonino per le Regionali del Lazio perché «non è una notizia». O forse perché, anche se il Pci non c'è più, all'Unità le cose funzionano sempre in un certo modo. di Marco Gorra

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