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Bersani adesso è all'angolo Accettare o no i sacrifici?

Delusione democratica: chiedevano una tassa sui grandi patrimoni ma devono solo ingoiare dei rospi sulle pensioni

Andrea Tempestini
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Delusione e preoccupazione. Questo è il clima che si respirava, ieri, al Nazareno. Leggermente corretto, in serata, quando la manovra diventa ufficiale. Le misure sui capitali scudati e la riduzione della soglia per la rivalutazione delle pensioni sono definite da Bersani «una novità apprezzabile». Ma il quadro generale resta pesante. Peggiore del previsto. A “Che tempo che fa” il segretario del Pd ammette che è «una manovra molto dura, che non risponde del tutto ai nostri criteri di equità». È vero, c'è qualcosa di simile alla patrimoniale (le tasse sui beni di lusso), «ma non si fa il salto»: manca «un rilevante contributo sui patrimoni». Così come considera insufficienti le misure contro l'evasione fiscale. Ancora: «non fa bene l'aumento dell'Iva» e sulla riforma delle pensioni «bisogna ancora lavorare». Alcune ore prima, a un'iniziativa sulla cultura organizzata dal partito, non aveva nascosto la sua contrarietà: «I pesi, le misure e i ritmi delle riforma non ci convincono». E aveva lanciato un avvertimento per le ricadute «sociali» che la manovra avrà. Il bersaglio sono soprattutto le misure che riguardano «le donne e i lavoratori», aspetti sui quali «abbiamo segnalato quello che pensiamo». Le prime, si spiega al Nazareno, pagano il prezzo maggiore degli interventi sulle pensioni: sia negli assegni di anzianità, sia in quelli di vecchiaia (mentre gli uomini vengono toccati solo sull'anzianità). Senza che ci siano misure di aiuto al lavoro femminile. L'unico intervento sul lavoro, invece, è la riduzione dell'Irap che, però, aiuta le imprese, più che i lavoratori. L'Ici e l'Imu colpiscono anche le fasce deboli. Non c'è traccia del reddito minimo. Gli interventi sulla previdenza, si dice, «servono solo per far cassa». Soprattutto non si vedono le riforme (ammortizzatori, mercato del lavoro). Tutto rinviato. «Come al solito, si colpisce gente che sta già soffrendo», si sintetizza nello staff del segretario.  Del resto già l'incontro di sabato sera con Monti non era andato benissimo. «Teso» viene definito. Bersani aveva chiesto al premier qualche sforzo in più. «Almeno ci sia la patrimoniale». Non si può colpire solo il lavoro dipendente. Monti, però, è stato irremovibile: «La situazione è tragica. Fare cose più complesse richiede tempo. E ora non lo abbiamo». Servono soldi subito. E per farlo, non resta che battere le solite strade. Preoccupa, poi, la reazione dei sindacati che ieri all'unisono hanno criticato la manovra. Una risposta che ha provocato l'immediata reazione dell'ala più filo-Cgil del Pd: «La manovra non va bene», ha detto Cesare Damiano. Manca «l'equità». Ma persino l'ala più riformista è perplessa. Già di prima mattina Walter Veltroni, principale sostenitore del governo Monti, aveva chiesto di «migliorare» alcune misure: «Penso al blocco dell'indicizzazione delle pensioni che rischia di avere conseguenze gravi, ad una più rigorosa tracciabilità del denaro». Occorre che «a pagare sia chi ha di più e non chi già paga le tasse ma chi fino ad oggi non le ha pagate, intervenendo sui grandi patrimoni». E a sera il lettiano Francesco Boccia ammette che «noi avremmo scritto una manovra diversa». Si rammarica dell'assenza di una patrimoniale e si augura «che il governo confermi il pugno duro contro gli evasori e che si impegni a sostenere i giovani». Intanto Di Pietro fa sapere che deciderà in Parlamento se votare o no la manovra. Mentre Vendola boccia su tutta la linea le misure decise: «Sacrifici a senso unico». di Elisa Calessi

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