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Voglia di inciucio tra Pdl-Pd per far fuori Bossi e Di Pietro

A letto col nemico: Lega e Idv provano a soffiare voti agli ex alleati che ora stanno con Monti. L'idea: legeg elettorale ad hoc

Andrea Tempestini
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A letto con il nemico. E molto prima di quanto si potesse prevedere. Il Pd chiama per riscrivere le «regole del gioco», il Pdl si dice pronto a sedersi al tavolo. Solo un mese fa, a parlare con l'avversario si finiva accusati di alto tradimento dagli elettori incarogniti e si era minacciati di abbandono dagli alleati gelosi. Ma a livello nazionale l'alleanza tra Pdl e Lega è finita e quella sui singoli territori è sempre più a rischio. Umberto Bossi se ne sta felice all'opposizione e Antonio Di Pietro si prepara a raggiungerlo. Pdl e Pd hanno davanti un anno e mezzo (alle elezioni anticipate non crede più nessuno) di aggressioni politiche da parte di Lega e Idv, che approfitteranno del sofferto appoggio che gli altri stanno dando al governo per succhiare loro quanti più voti possibile. Così, superato il ribrezzo iniziale per la reciproca vicinanza, i due principali partiti si stanno chiedendo se non convenga cavarne fuori qualcosa di utile. Magari un'intesa sulle regole della rappresentanza. Obiettivo difficile, ma non impossibile. Di sicuro, il gesto con cui Silvio Berlusconi si è sfilato da Palazzo Chigi aiuta parecchio. Il primo a uscire dagli imbarazzi è stato Dario Franceschini. «Il Parlamento può utilizzare quest'anno e mezzo per cambiare le regole istituzionali», ha detto a Repubblica il capogruppo del Pd. Un percorso in tre passi: riscrivere i regolamenti parlamentari per modernizzare il rapporto tra governo, maggioranza e opposizione; chiudere l'era del bicameralismo, istituendo il Senato delle Regioni; reintrodurre le preferenze e dar vita a «un bipolarismo per scelta e non per costrizione». La risposta del Pdl è arrivata per bocca di Gaetano Quagliariello, uno dei pochi in grado di scrivere una legge elettorale. «Su una cosa sono d'accordo con Franceschini: la politica deve sfruttare questo tempo di responsabilità per costruire un sistema più efficiente», dice il vicecapogruppo al Senato. «Si può partire subito dai regolamenti parlamentari e da lì continuare». Unico punto di dissenso: «Il bicameralismo deve essere riformato, ma non superato». Insomma, se ne può parlare eccome. Tanto che Berlusconi, ieri mattina, durante l'ufficio di presidenza del Pdl, ha dato il via libera ai suoi: «Avviate subito un tavolo di lavoro per vedere come cambiare la legge elettorale». Nessuno lo dice apertamente, ma è chiaro che la maggioranza che dovrebbe riscrivere le regole è la stessa che sostiene il governo Monti. In parole povere, l'accordo tra Pdl e Pd non potrà che premiare questi due partiti a discapito delle ali estreme, cioè Lega, Idv e la rediviva Sel di Nichi Vendola. Spiega a microfoni spenti un deputato berlusconiano: «Noi e il Pd abbiamo lo stesso interesse: creare uno schema bipolare che sia staccato dal premio di maggioranza, che ci liberi cioè dalle alleanze obbligatorie. Nessuno di noi vuole mettere il coltello alla gola della Lega, ma non possiamo avere come unica alleanza possibile quella con loro. Intendiamo prendere il nostro 28% di voti ed essere poi liberi di allearci con la Lega, con l'Udc o addirittura, se si crea una situazione di emergenza, con il Pd». Esigenza analoga a quella di Pier Luigi Bersani, che ormai non nega di volersi sganciare da Di Pietro: «Ci saranno dei problemi ad andare d'accordo», ha profetizzato ieri al Tg3 il segretario del Pd. Insomma, il sogno è dare vita a un sistema che ruoti attorno a due Soli, il Pdl e il Pd. Si ragiona già sui modelli di legge elettorale. Un simile schema bipolare può essere garantito anche da una versione corretta dal modello tedesco, che attribuisce i seggi su base proporzionale all'interno di un collegio unico nazionale, con clausola che esclude i partiti che non raggiungono il 5% dei voti. Meglio ancora andrebbe il modello spagnolo, strutturato su piccoli collegi nei quali gli eletti sono scelti su base proporzionale: sovra-rappresenta i partiti grandi ai danni di quelli piccoli, imponendo di fatto una soglia di sbarramento attorno al 10%. Ambedue i modelli hanno estimatori nel Pdl e nel Pd, mentre la Lega frena sostenendo che la legge elettorale si può cambiare solo dopo aver riformato la Costituzione. Non dovrebbe invece essere un problema tenere dentro gli altri partiti che sostengono Monti. «Il fatto che il terzo polo sia al 12% e non al 5%», confidano a palazzo Grazioli, «aiuta a trovare una soluzione. Casini può accettare di essere ridimensionato, se percepisce che nel nuovo schema diventa indispensabile». L'Udc, del resto, non ha mai nascosto le proprie simpatie per il sistema tedesco. di Fausto Carioti

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