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Giusto, vero macho e cattivo Destra imiti Chef Ramsay

Langone: politicamente scorretto e dedito alla famiglia: il cuoco inglese superstar della tv è un modello per i conservatori

Giulio Bucchi
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Se in politica, intesa come governo e parlamento, la destra sembra del tutto evaporata (più o meno quanto la sinistra), noi destri possiamo consolarci in cucina. Tra i fornelli abbiamo un potenziale campione, bisogna soltanto prenderne atto: è ciò che faccio in questo articolo il cui protagonista si chiama Gordon Ramsay. Non credo che il personaggio abbia bisogno di molte presentazioni: il cuoco anglo-scozzese ha così tanti ristoranti in giro per il mondo, così tante stelle nelle guide, così tanti programmi sugli schermi, che è difficile non essersi mai imbattuti in lui. Adesso poi si trova anche in tutte le librerie, con un ricettario il cui titolo mi ha fatto scattare la voglia di arruolarlo:  Il pranzo della domenica (Guido Tommasi Editore, pp. 256, euro 29,9). «Sono rimasto senza parole nello scoprire quante sono le famiglie che non pranzano mai assieme», dice nella prefazione, di un familismo che nemmeno Benedetta Parodi. In Ramsay mi sembra evidente la consapevolezza della famiglia come base della società, luogo ideale per far crescere i bambini, scrigno della tradizione ovvero di una cultura che si trasmette di generazione in generazione. E non è il solito che predica bene e razzola male: ha quattro figli e una moglie, la stessa da sempre. Mica come certi politici plurisposati (un nome a caso: Casini) che si ergono a paladini dell'istituzione famigliare. Come cuoco Gordon Ramsay non è un tradizionalista in senso stretto ma se molti suoi piatti possono sembrare privi di radici non è per colpa sua bensì del contesto globalista: «A Londra c'è un'offerta smisurata di cucine etniche, dalla giamaicana a quella cinese, così noi inglesi abbiamo perso ogni legame con la tradizione». Non è affatto scontato che un cuoco internazionale si mostri così refrattario alla retorica del multietnico, così consapevole che la contaminazione spesso significhi distruzione. Mi viene in mente il sommo antropologo René Girard secondo il quale «la preferenza che le culture hanno per se stesse dev'essere mantenuta a ogni costo. Essa coincide con l'esistenza medesima di tali culture». In parole povere: chi preferisce i muffin uccide gli strucoli (o i risulen, i baicoli, gli struffoli e tutti gli altri nostri meravigliosi dolci vernacolari). Ramsay è di destra perché è un uomo autoritario che essendo un capo parla come un capo e si comporta come un capo, senza fingere un amore per il dialogo che chiaramente non prova. Nelle sue cucine si muove come un sovrano assoluto e i suoi programmi fanno un gran bene ai ragazzi degli istituti alberghieri: così sanno quello che li aspetta. Perché quello che lui ha il coraggio di mostrare in pubblico è la realtà di tutte le cucine di questo mondo: gerarchia, gerarchia e ancora gerarchia. Provate voi ad andare a lavorare da Ducasse: poi mi verrete a raccontare quanta liberté-egalité-fraternité si trova nelle dispense del ristorante «Le Louis XV». L'unica differenza è che lo chef francese si atteggia a raffinato intellettuale mentre Ramsay non nasconde la sua natura di sergente di ferro. Lui non si fa fotografare circondato da libri bensì da coltelli. Magari con in mano una mannaia, per aumentare l'effetto cattivista. Che però, appunto, è un effetto. In fondo ma neanche troppo in fondo si tratta di un pedagogo, di un uomo che si spende per insegnare: «Dà grande soddisfazione vedere dei principianti prendere confidenza: benché all'inizio possa essere molto frustrante, un po' alla volta, quando cresce la loro autostima, cominciano a brillare di luce propria». Ecco: Ramsay è di destra perché è un maestro e non un professore, figura sempre a rischio di sinistra. È di destra perché è un nazionalista: apprezza la cucina francese ma deride i francesi, più che altro perché ai suoi occhi hanno la grave colpa di non essere britannici. È di destra perché è un macho, una schiena diritta, uno dei pochi vip televisivi che non si inchina alla correttezza politica: se una giornalista osa contrariarlo non ha nessun problema a definirla «lesbica», dando alla parola tutto il contenuto di insulto che si merita. È di destra perché ama le lame e i fucili, perché va a caccia. A chi cominciasse ad arricciare il naso ricordo le riflessioni di Ortega y Gasset: «La caccia è una disciplina vigorosa e un'occasione di mostrare il proprio coraggio. La caccia manifesta la gerarchia inesorabile degli esseri viventi». Disciplina, coraggio, gerarchia inesorabile: non pronunciate queste parole davanti a  Vendola, mi raccomando.  Ovviamente Ramsay è un fiero carnivorista. Detesta i vegetariani. Stravede per il filetto. Nonostante il contesto sfavorevole (l'Inghilterra che adora il cavallo più di Cristo) promuove il consumo di carne equina, cosa che gli ha procurato non pochi problemi, ad esempio una tonnellata di letame scaricata dagli animalisti davanti a un suo ristorante di Londra. Ma lui, antropocentrico sicuro di essere nel giusto, tira diritto. Il turpiloquio è l'unico ingrediente del personaggio che politicamente non mi convince: quel «Fuck» infilato in ogni frase sarà di destra, di sinistra o di niente? Io personalmente le parolacce non le posso soffrire ma per fortuna vengo a sapere che quando nello studio di registrazione è presente la mamma, come per miracolo il linguaggio del figlio diventa pudico. Questa è la prova definitiva: «Onora il padre e la madre» è il comandamento meno sessantottino, più di destra che ci sia. di Camillo Langone

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