Calciopoli, è tutto da rifare: serve indagine sull'indagine

Giulio Bucchi

La clamorosa intervista di Edmondo Pinna, pubblicata sul “Corriere dello Sport” di venerdì - sicuramente la prima di una serie di prossime puntate - apre nuovi scenari sul retrobottega delle indagini, condotte in una sola direzione, riguardanti “Farsopoli”. Pinna ha intervistato uno dei “magnifici dodici” del gruppo di investigazione. Finalmente, per gli amanti della verità, arriva una importante conferma di come tali indagini sono state fatte. È un racconto da brividi poiché, se questi sono i metodi di investigazione, chissà quanti innocenti sono in galera o sono stati condannati, quanti malfattori gongolano, e quanti colpevoli di reati ben più gravi, importanti e dannosi di quelli di “Farsopoli”, l’hanno fatta franca.    Primo dato. In via dei Selci a Roma, sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, una delle strutture che in genere conduce le indagini più delicate di tutta Italia, lavorano 60 investigatori. Per lunghissimo tempo, nell’arco di qualche anno, dodici di questi uomini - un quinto dell’intero organico -, cioè ufficiali, sottufficiali e agenti di polizia giudiziaria sono stati destinati a occuparsi di “Farsopoli”. Nel paese certo c’erano indagini ben più importanti da svolgere. Ad esempio, nel 2006, quella sullo “strano” spoglio delle schede che a tarda notte aveva capovolto, per poche migliaia di voti, il risultato delle elezioni politiche consegnando a Romano Prodi il governo della nazione. Ma evidentemente il “capo” politico dei carabinieri, cioè il ministro della Difesa Arturo Parisi, molto amico di Prodi, portò una ventata di “aria nuova” agli alti comandi di viale Romania. Un’aria che scese giù per li rami fino ad arrivare ai gradi inferiori. Il problema più rilevante, dunque, è questo: chi ha fatto in modo, e dato ordine, che quell’inchiesta diventasse prioritaria e assorbisse così tante energie di uomini e mezzi? Tale scelta ovviamente non va attribuita ai carabinieri, ma - oltre al superiore livello politico - anche ai magistrati di Napoli che avevano ordinato un certo tipo di inchiesta agli uomini in divisa. I magnifici 12 - C’è un secondo aspetto. La “filiera” al vertice dei “magnifici 12 investigatori della squadra Off-side” era composta, in ordine gerarchico decrescente, dal tenente colonnello Giovanni Arcangioli, il maggiore Attilio Auricchio, e infine il maresciallo capo Michele Di Laroni, braccio destro di Auricchio. Furono questi ultimi due a dare all’inchiesta in nome in codice “Off-side”. Un giornalista della “Gazzetta”, Maurizio Galdi, inviato in pianta stabile al processo di Napoli, scrisse: «Off-side perché il desiderio è di mettere in fuorigioco l’intero sistema calcio. Sono gli unici a sapere ciò che sta succedendo, per due anni vivranno nell’ombra, mimetizzandosi». Tanta enfasi e tali tinte eroiche su Auricchio e Di Laroni forse erano dovute al fatto che il maresciallo fece addirittura ricorso contro una multa presa dal giornalista. Dato che si scoprì che il reporter era, fin dall’inizio delle indagini, un collaboratore dei carabinieri. E quindi non si trovava nelle migliori condizioni di obiettività per scrivere su quel tema. Anche se, di certo, riceveva soffiate unidirezionali per dar corpo a un certo tipo di teorema accusatorio. Ma su di lui, né l’Ordine dei Giornalisti, né la direzione del suo giornale, ha mosso un dito... Copertura dall’alto - Dall’intervista dell’investigatore “indignato”, e col voltastomaco, protagonista del racconto al “Corriere dello Sport”, emergono altri dati preoccupanti: quando viene avviata un’inchiesta, che ha una forte “copertura dall’alto”, poi accade che a prendere il sopravvento siano due o tre elementi della squadra investigativa che condizionano il lavoro di tutti e, valendosi del loro grado, ne possono combinare di tutti i colori raccogliendo materiale che poi determina processi falsati. Bastano un paio di inquirenti in mala fede e si arriva a tutto tranne che alla la ricerca della verità, badando solo a compiacere la direttiva arrivata, oppure a procurare vantaggi a coloro cui fa gioco quell’indagine. C’è ad esempio, la notizia di incrinature al vertice: il responsabile delle indagini, Arcangioli, ha firmato solo la prima informativa dei carabinieri e non la seconda, quella sul Milan. Dimostrando che non condivideva il lavoro di Auricchio e Di Laroni e non si voleva assumere la responsabilità delle loro “conclusioni”. Ma allora perché è rimasto al suo posto? Arcangioli  arrivò “ai ferri corti” con Auricchio: considerava giustamente inopportuno andare avanti con un’indagine che non portava risultati, che appariva debole e senza riscontri, nonostante impegnasse una buona parte dell’organico della caserma. Com’è possibile che, nonostante l’aperta dissociazione del suo superiore, Auricchio poté continuare le indagini “a modo suo”? Su quali “protezioni” poteva contare? Andiamo avanti. «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo», e ognuno parlava dei risultati dello spicchio di indagini o intercettazioni a lui affidate, dice l’investigatore intervistato. «Le telefonate dell’Inter? Che ci stavano si sapeva...». Si faceva il punto, ma alla fine erano «Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non mettere nell’informativa». A loro completa discrezione... Ogni telefonata intercettata veniva inserita nel brogliaccio e, per capirne la rilevanza prima di trascriverla o meno, si indicavano tre “baffetti rossi” col pennarello accanto ad essa, se era considerata importante. Come mai molte di queste telefonate con i baffetti rossi non sono finite nell’inchiesta? «Evidentemente non ci dovevano andare. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, ’sto mattone..». E Auricchio e Di Laroni hanno evitato di mettere molti mattoni... Ecco spiegato perché certe intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, anche se le telefonate «c’erano perché ci sono le registrazioni». Ma di spiegazione ce n’è un’altra, inquietante: «La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. È in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la “Postazione 15” qui non funziona, che è successo?”. “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse...”». Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...». E ancora: è tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo? «Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Questo fa pensare che c’erano altre orecchie in ascolto, magari in un palazzo di Milano. E quando sentivano certe cose, o si accorgevano dei numeri di appartenenza di chi stava chiamando o rispondendo, staccavano il server e impedivano anche ai carabinieri di registrare... Orecchie tese - Insomma, intercettazioni selezionate e pre-selezionate. Sia alla fonte, in origine, straccando il server. Sia dopo, evitando di farle trascrivere. Con una ulteriore appendice molto italiana o napoletana, a detta dell’intervistato: cenette a Napoli, da “Zi’ Teresa”, con Auricchio e Arcangioli con uno dei pm dell’inchiesta. L’investigatore non fa il nome dell’ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009, prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate dalla difesa di Moggi. Sugli “altri personaggi” delle cenette, il “Corriere dello Sport” ci darà certo ragguagli. Così come il bravissimo Pinna (mi raccomando, occhio a non parlare al telefono...) ci dirà quanti caffè presero insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle loro risposte in aula non combacia. A questo punto - come da anni afferma ju29ro (juventino vero.com), la punta di diamante dell’informazione su “Farsopoli”, «solo una “indagine sull’indagine” potrà cercare di dare le risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si è invece accontentato di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se avesse “stappato lo champagne?”. Buchi rosa e buchi neri, ma da oggi un po’ meno neri». di Gigi Moncalvo