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Maglie L'ora di raccogliere le firme anti-canone Rai, appello al movimento dei tea party

Disservizio pubblico. Visto che i partiti si tirano indietro, solo il movimento anti tasse può mobilitarsi per abolire il balzello

Andrea Tempestini
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Nel 2012 che comincia domani passiamo dalla proposta e dalla protesta all'azione, e non aspettiamo i partiti, imbambolati e confusi, passiamogli davanti se non vogliamo morire di tecnici e di tasse. Il tempo è veramente poco perché la burocrazia mette lacci e laccioli pur lasciando basso il numero delle firme necessarie per chiedere  un referendum. Scommettete che questo in poche settimane ne avrebbe a milioni? La proposta di Libero è semplice: non un referendum per abolire il canone Rai, che è una tassa di Stato, dunque intoccabile da consultazioni popolari, ma un referendum per abrogare gli articoli della legge del 1975 nei quali si affidava alla Rai il servizio pubblico che oggi non svolge più. La proposta ha avuto una risposta entusiasta, forte; lettori, organizzazioni, iscritti di Facebook e di Twitter hanno realizzato uno straordinario passaparola. L'organizzazione del Tea Party Italia ci ha appoggiato con moltissime adesioni e una motivazione semplice e limpida: «Nessun servizio è utile se non è scelto liberamente dal cittadino. Ogni azione concreta contro lo stato attuale dell'informazione targata Rai e dello spreco di soldi pubblici che comporta, avrà il nostro sostegno». Il Tea party rappresenta una novità assoluta per l'Italia, io ci credo, e mi auguro che parta proprio da loro la costituzione di un comitato referendario al quale si possono unire i libertari di buona volontà, quella che una volta con brutto termine si chiamava società civile e che ora è davvero chiamata a riempire lo spazio lasciato  tristemente vuoto dalla classe politica che ci ha affittato ai tecnici, e che sulla Rai tace come ha sempre taciuto.  Avete sentito in questi giorni un solo argomento da parte di un qualsiasi esponente politico sul problema che Libero ha sollevato, anche solo per confutare i nostri argomenti, per criticarci? Qualcuno di loro ha forse fatto notare che gli spazi di informazione si restringono, che si parla poco e male della crisi economica, che la televisione pubblica non ha ritenuto di organizzare programmi speciali sulla situazione dell'euro, sulla crisi mondiale, che anzi si taglia mentre  si aumenta il canone proprio sull'informazione riducendo indiscriminatamente il numero dei corrispondenti e degli inviati? Lorenza Lei, direttore generale della Rai, ha detto ai giornalisti del Tg1 che non bisogna dare alcuna notizia sulla campagna di Libero, e che che non si può fare a meno del «tributo» costituito dal canone.  Non attribuiamo al direttore generale attuale responsabilità che sono storiche e incancrenite, ma nessuno dovrebbe sentirsi il padrone delle ferriere, e decidere di tagliare senza preoccuparsi della perdita definitiva della funzione pubblica:  i tributi li pagavano i vassalli, non i cittadini delle democrazie moderne. O no? Ci vuole un movimento. I Tea party sono nati da poco, il 20 maggio, in Italia. Hanno già un  un marchio riconosciuto, un portale, una rete regionale che si va strutturando, e un evento nazionale, a Milano alla Bocconi. Si definiscono una sorta di «sindacato dei contribuenti» che è un termine ambiguo ma è anche il più adatto al contesto politico e culturale italiano. Negli Stati Uniti, dove sono nati e diventati il fenomeno degli ultimi anni, l'obiettivo è quello di cambiare profondamente il partito repubblicano. Da noi possono, e io dico che devono, far loro la bandiera del «fiscal conservatism», che è un'esigenza schiacciata e repressa ma profondamente sentita e popolare, non a caso fu il terreno da cui iniziarono i nuovi partiti, Forza Italia e la Lega. Un movimento contro l'iniquità delle tasse, che sarebbe ben più ampio dei confini ristretti del canone Rai, può però scegliere di partire proprio da quello che le statistiche dimostrano essere considerato il balzello più odioso dagli italiani, un prelievo forzoso e forzato,  attraverso un'imposizione ai limiti dei principi di libertà di scelta. Aspetto risposte nel 2012. di Maria Giovanna Maglie

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