Lo schiaffo ai tecnici: così si son salvati gli stipendi d'oro

Lucia Esposito

Gli stipendi della Casta sono salvi. La commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, che entro il 31 dicembre 2011 avrebbe dovuto stabilire se e come tagliare i trattamenti economici di deputati, senatori, politici degli enti locali, giudici, dirigenti e boiardi di Stato, ha gettato la spugna. Tutto messo nero su bianco in un documento pubblicato ieri: «Tenendo conto della estrema delicatezza del compito, nonché delle attese dell’opinione pubblica sui suoi risultati, la Commissione non è in condizione di effettuare il calcolo di nessuno delle medie di riferimento con l’accuratezza richiesta». Tradotto in pratica: mentre tutti gli italiani stanno versando sangue per la Patria bersagliati da nuove tasse, i Dracula che glielo stanno portando via hanno salvato vene e portafogli. La commissione Giovannini doveva confrontare gli stipendi dei politici italiani con quelli dei sei principali paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria), e segnalare - tenendo conto della grandezza del Pil di ciascuno - se e di quanto indennità e benefit dovevano essere sforbiciati. Il compito era stato dato a luglio da Giulio Tremonti, e alla fine di quel mese la commissione si è insediata. Oltre a Giovannini ne fanno parte un rappresentante di Eurostat, Roberto Barcellan; un esperto di diritto costituzionale come l’avvocato Alfonso Celotto ordinario a Roma Tre; un esperto di diritto amministrativo come l’avvocato Alberto Zito, ordinario dell’Università di Teramo; uno statistico come il professore Ugo Trivellato, emerito di Statistica economica all’Università di Padova e un economista come il professor Giovanni Valotti, ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi. I magnifici sei avevano un compito principale banale: confrontare le indennità dei parlamentari italiani, i benefit a loro disposizione, il trattamento di fine rapporto e quello previdenziale con quello degli altri sei parlamenti europei. Libero lo ha fatto impiegando fra ricerca e composizione delle tabelle sei ore: i dati sono pubblicati on line in tutti i paesi. I professori in sei mesi hanno fatto un buco nell’acqua. E adesso chiedono altri tre mesi di tempo per vedere di mettere a posto i dati che confusamente sono appiccicati qua e là nelle 38 pagine di documento rilasciato ieri con la data del 31 dicembre. Invece di consultare Internet i commissari hanno scelto vie complicatissime. Hanno coinvolto gli esperti della presidenza del Consiglio dei ministri, e poi scaricato sulla rete di ambasciate italiane dei sei paesi l’onere della raccolta informazioni. A quattro mesi dall’inizio dei lavori hanno provato subito a gettare la spugna, comunicando al nuovo premier Mario Monti che non sarebbero riusciti a compiere il lavoro entro la data prevista del 31 dicembre. Monti non ha voluto sentire scuse, e, anzi, ha ribadito quella data nel decreto salva-Italia, facendo arrabbiare deputati e senatori e prendendosi pure una tirata di orecchie dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il premier ha abbozzato, ma la norma è restata in decreto, chiedendo di avere quel confronto entro il 31 dicembre almeno per deputati e senatori (la cosa più semplice) con la possibilità di limare i dati per tutte le categorie entro il 31 marzo 2012. I professoroni, riluttanti, si sono messi a ideare complicate formule matematiche e piccole equazioni per ponderare emolumenti, pil e potere di acquisto dei parlamentari di ciascun paese. Alla fine un minimo di tabella è venuto fuori, intimando alla stampa di non pubblicarla se non integrata delle paginate di avvertenze del documento. Cosa impossibile. Ma si può andare al sodo: l’indennità lorda dei deputati italiani (11.283,3 euro al mese) è la più alta dei sette paesi Ue. Le altre vanno da un minimo di 2.813,9 euro in Spagna a un massimo di 8.503,9 euro nei Paesi Bassi. La diaria di 3.503,1 euro di cui godono gli italiani è concessa solo in Germania (dove ammonta a 3.984,4 euro, ma lì il Pil è molto più alto). Le spese per i collaboratori solo in Italia finiscono nelle tasche del parlamentare (3.690 euro al mese), negli altri paesi provvedono i parlamenti entro certi tetti di spesa. Anche sui benefit sono gli italiani ad avere quelli più alti e generosi. La vera differenza che salta all’occhio è nella cifra che finisce direttamente in tasca (stipendio lordo più benefit esentasse) ai parlamentari. Gli italiani ricevono 20.108 euro lordi mensili; i francesi 13.930,23 euro; i tedeschi 12.652,4 euro; i belgi 9.266 euro; gli olandesi 8.735,2 euro; gli austriaci 8.649,1 euro e gli spagnoli 4.637,2 euro. Bastano questi dati per sapere cosa fare: fine dei rimborsi a forfait, taglio alle indennità base, tetti di spesa dietro presentazione di ricevuta compatibili con quelli medi degli altri paesi. Quanto ai vitalizi, l’Italia è il paese di Bengodi: nessun altro li ha paragonabili né per struttura né per importo economico. In tre paesi non esistono. In Spagna è solo una pensione integrativa che scatta dopo 11 anni di mandato. In Germania copre giustamente i periodi di mancato versamento avendo interrotto la vita professionale (non esistono contributi figurativi come in Italia). In Francia esiste, ma è uin quarto di quello italiano. Ma con il gran pasticcio della commissione-verità che ha gettato la spugna, semplicemente non si farà nulla: la Casta ancora una volta ha salvato la pelle. di Franco Bechis