Berlusconi di lotta e di governo rischia di perdere i suoi elettori

Lucia Esposito

A fare il partito di lotta e di governo si finisce male, la storia dovrebbe insegnarlo agli esponenti del Pdl emersi dai fumi del cenone, sopravvissuti al trauma della caduta dal potere, convinti di dover dichiarare sempre, comunque e la qualunque. Perché o sono matta io o hanno qualche problema di senso della realtà, e perfino della decenza, loro.  O il governo Monti è stata una forzatura non necessaria e imposta addirittura da forze straniere, e il presidente della Repubblica l'ha favorita ai danni del governo precedente mai sfiduciato, e  allora loro, quelli del Pdl, devono essere incazzati e pure tanto, almeno metà del giorno e anche durante le vacanze, oppure il governo tecnico e Napolitano sono bravi, utili e necessari, e allora loro hanno lavorato male, se ne dovevano andare prima, non dovranno tornare mai a governare. La terza ipotesi, quella che li vede festanti e a volte anche un po' scodinzolanti nel commentare il discorsetto di fine anno dal Colle, ma pure un po’ pensosi sulla democrazia sospesa, semplicemente non è presentabile, non si regge in piedi, e fa incazzare gli elettori. Le dichiarazioni Cito dalle agenzie di stampa e da una attenta lettura di Libero le dichiarazioni sul discorso di Giorgio Napolitano. «Parole che evocano la forza di un Paese che è riuscito sempre a risollevarsi e che ancora una volta è chiamato a farlo col contributo di tutti», è il commento di Angelino Alfano. «Mi conforta», prosegue il segretario di via dell’Umiltà, «la giusta coniugazione che Napolitano fa tra sacrifici e crescita». Il Pdl, assicura, «non si sottrarrà», ma darà il proprio contributo per «l’eliminazione delle disuguaglianze» e per «restituire all’Italia una prospettiva reale per un futuro che guardi con ottimismo concreto al di là della crisi». Maurizio Gasparri coglie «vari spunti» nell’intervento letto a reti unificate. Dalla necessità di «fare sentire forte la voce italiana in Europa», alla condanna dei «cattivi maestri del consociativismo anni Ottanta», dalla «lotta all’evasione» al ruolo riconosciuto ai partiti, che devono essere protagonisti delle «riforme costituzionali». Fabrizio Cicchitto condivide l’analisi del collega capogruppo. Il presidente dei deputati del Pdl sottolinea i passaggi in cui Napolitano ha messo insieme «rigore e crescita», «realismo e ottimismo». Anna Maria Bernini, portavoce vicario del Popolo della libertà, condivide «le prospettive fondanti per la ripresa» messe in fila dal Quirinale: «Coesione nazionale e sociale, dimensione europea delle soluzioni. Valore ai giovani, alle imprese, al lavoro». A parte «la cravatta color “rosso-Capodanno», scherza Ignazio La Russa: «Un messaggio sereno e responsabile, il suo». Mariastella Gelmini gradisce il «tratto liberale di una filosofia che invita ad abbandonare la vecchie sirena statalista»; Maurizio Lupi sostiene che il Presidente della Repubblica «ha indicato la strada», adesso «tocca ai partiti il compito di percorrerla». Le due parti Ora a noi è ben chiaro che il presidente della Repubblica sia uno piuttosto forte in questo periodo, ci è altrettanto evidente che il futuro è tutto da decidere e che accreditarsi è meglio che esporsi, vediamo con lucidità che le contraddizioni più grottesche abitano allegramente anche nelle frasi e negli imbarazzi della ex opposizione, ma  alcuni di questi signori sono stati ministri, tutti sono anche oggi esponenti di primo piano. Come fa Lupi a sentire che i partiti sono investiti di un ruolo speciale quando partiti e Parlamento sono stati scavalcati e i loro voti ignorati? Perché secondo la Bernini è toccato al presidente di una Repubblica non presidenziale indicare addirittura le prospettive fondanti? Dove si erano perse?  E la Gelmini non doveva badare con i colleghi del governo precedenti che si diceva liberale ad abbandonare la vecchia sirena statalista, o pensa davvero che sia la filosofia di un distinto signore  postcomunista di 86 anni? Stesso dubbio dovrebbe sorgere a Maurizio Gasparri, che invece scorge netta in Napolitano la condanna del  consociativismo degli anni 80, anni nei quali il Pci faceva il consociativo alla grande. Dove vede la coniugazione Alfano tra sacrifici e crescita nel discorso del 31, e perché non la indicava quando era ministro della Giustizia? Mi fermo qui, probabilmente non è del tutto colpa loro se gli tocca fare due parti in commedia. Il primo ad autorizzare il gioco si chiama Silvio Berlusconi. Tutte sue le frasi che seguono, tutte giuste le considerazioni, ma alla fine manca il colpevole. E mancano le prospettive.     Napolitano? «Mi ha citato riconoscendo il mio senso di responsabilità: ho apprezzato». «Resta il fatto che hanno portato a Palazzo Chigi un governo non eletto dai cittadini e che viviamo in una situazione di democrazia sospesa».«È sempre più evidente la vergogna di chi ha indicato il mio governo come l’unica causa di questa crisi. Lo spread alto c’è anche adesso con il governo dei professori». di Maria Giovanna Maglie