Angela si scopre sola: Monti e Sarkò si allontanano

Giulio Bucchi

Da ieri, Angela Merkel è un po’ più sola. Lo splendido isolamento in cui Standard & Poor’s ha confinato Berlino mettendola nella torre della tripla A comincia a farsi pesante proprio per la «premiata» Germania, stretta in un cerchio sempre più forte.  Tre fatti ieri hanno aggravato la posizione teutonica. Il primo è l’annullamento (al momento un rinvio) dell’atteso vertice trilaterale di Roma tra Mario Monti, Nicolas Sarkozy e la Cancelliera. I tre si sono sentiti e si vedranno comunque il mattino del 30 (poche ore prima del vertice clou di Bruxelles), ma lo slittamento ha conseguenze politiche. A far saltare l’appuntamento con appena una settimana di anticipo è stato il presidente francese, ed è impossibile non notare la coincidenza tra questa scelta (dettata da «motivi interni») e lo schiaffo dell’agenzia di rating che ha levato la tripla «A» a Parigi. Alle ragioni che, specie in campagna elettorale, vedono monsieur Bruni sempre più distante dall’austerity berlinese si aggiunge il fatto che ormai l’asse con la Germania è insostenibile: sarà un dettaglio, ma ieri l’Handelsblatt riportava con grande evidenza lo scontro feroce in seno all’EADS, il gigante aerospaziale che, lungi dal celebrare l’intesa franco-tedesca, è teatro di un plateale scontro per  il vertice. Parigi non ne vuol sapere di confermare il teutonico Tom Enders al comando del colosso che produce, tra gli altri, l’Airbus. Il secondo fatto è l’intervista che il premier italiano ha rilasciato al Financial Times a pochi giorni da una delicatissima visita alla City londinese, dove è atteso mercoledì prossimo per convincere gli investitori della piazza di Londra sull’appetibilità del nostro mercato. Monti ha decisamente abbandonato i toni felpati: nel colloquio chiede che  la Germania, con altri Stati, si «attivi per ridurre i costi dell’indebitamento per il nostro Paese». Il Professore spiega che Berlino trarrà beneficio («è nel suo illuminato interesse») dal sanare una situazione che, nel medio periodo, non può che trascinare la stessa Germania (ieri il Ceo di Deutsche Bank ha preconizzato una «leggera recessione» per la prima metà del 2012). Il presidente del Consiglio italiano ha parlato di un «potente contraccolpo» che potrebbe scattare tra gli elettori dei Paesi vittime del rigorismo tedesco. In sostanza, ha fatto capire che i sacrifici vanno bene ma solo se sbloccano un’espansione monetaria straordinaria, come del resto appare la situazione. Altro particolare: Monti si è ben guardato dal partire a testa bassa contro le agenzie di rating, come ha fatto quasi coralmente il mondo politico italiano. Come ha fatto capire nella medesima intervista che sarà pubblicata oggi, se si legge il report di S&P si nota che il vero problema sono «le istituzioni e la politica europea», non il governo italiano. Cosa che, in effetti, il declassamento di un grado che la stessa agenzia ha comminato al Fondo salva-Stati indirettamente conferma. Il terzo fatto è forse il più importante: si chiama Mario Draghi. Il presidente della Banca Centrale Europea ha toccato uno dei punti più «politicamente» rilevanti dall’inizio del suo cruciale mandato. Nel descrivere con parole non lievi la situazione attuale di fronte all’Europarlamento, l’ex capo di Bankitalia ha di fatto chiesto un intervento d’urgenza che faccia da «salvatore di ultima istanza» dell’area Euro, minacciata dalla fragilità dei Paesi cui le condizioni del debito rendono più difficile l’accesso alle fonti di finanziamento: Italia e Spagna su tutti. Nei fatti, è un appello alla Germania perché abbandoni la trincea che non concede deroghe al ruolo della Bce (citata dallo stesso Monti) e del suo finanziamento al Fondo salva Stati appena bocciato da S&P. Da questi tra fatti, cos’è lecito aspettarsi? Che la Merkel sia più sola, è un dato. Parlare di coordinamento o di asse Monti-Sarkò è prematuro e avventato, ma di sicuro l’intesa ferrea tra Francia e Germania è ormai un lontano ricordo, e le prossime settimane porteranno con ogni probabilità altre conferme in tal senso. A questo punto, conviene che l’isolamento tedesco diventi un’opportunità, sotto una pressione concorde che magari avviene per motivi diversi. Il vero terreno su cui misurare il risultato di una pressione degli alleati su Berlino (ieri Monti ha incassato un plauso convinto dal leader Ue Van Rompuy) resta quello del Trattato applicativo del fiscal compact. L’Italia rischia grosso perché se la bozza dovesse uscire inalterata ci costerebbe una nuova morsa fiscale da 40-50 miliardi l’anno senza - al momento - nulla in cambio. C’è da sperare che il tempo preso e soprattutto il continuo, progressivo isolamento di Berlino porti la Merkel a un ammorbidimento. di Martino Cervo