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Bersani Il vizietto: dice una cosa e fa l'opposto Il segreto: scrive i discorsi mentre beve birra

Il segretario tuona contro i partiti in Rai e poi piazza il vicedirettore al Tg2: un leader che cambia idea troppo spesso

Andrea Tempestini
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Pierluigi Bersani dovrebbe fare un monumento a Maurizio Crozza. Con le sue imitazioni, infatti, il comico non solo ha reso il segretario del Pd più simpatico (o meno antipatico, se preferite), ma ha compiuto un'altra magia: ormai i due personaggi si confondono talmente, che quando parla il Bersani «vero» nessuno gli presta realmente attenzione, pensando che stia illustrando le migliori tecniche per smacchiare i giaguari. Così lui può dire (e fare) tutto e il suo contrario senza che gli interlocutori gli facciano notare le contraddizioni. Che sono macroscopiche. Svelato il segreto di Bersani Quando scrive i discorsi beve birra Ieri, per esempio, mentre uscivano le anticipazioni della sua intervista a Panorama nella quale tuonava contro l'ingerenza dei partiti in Rai, è riuscito a piazzare per conto del partito (anzi, della sua corrente), Stefano Morroni, alla vicedirezione del Tg2. E ciò nonostante l'opposizione non solo della redazione (pazienza), ma anche dello stesso direttore: un fatto contro natura in qualsiasi azienda editoriale che non abbia sede in un Viale Mazzini solcato dalle scorribande dei politici tanto vituperate dal politico democratico.  Capita, direte voi. Ma a Bersani capita un po' troppo spesso. Dalla legge elettorale alla giustizia, dalle privatizzazioni all'economia, dal nucleare all'Ici per la Chiesa, i voltafaccia all'emiliana stanno diventando un classico. Senza, però, che l'autore sia chiamato a pagarne il dazio. Bersani può cavalcare il giustizialismo contro gli avversari per poi scoprire che il suo braccio destro è invischiato in un imponente  sistema affaristico-tangentizio e ripiegare su un «la magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che sarà in grado di verificare che sono accuse senza fondamento». Senza spiegare perché Penati abbandonò improvvisamente la sua segreteria e se per caso ciò avesse a che fare con la gravissima ipotesi formulata dai pm che quei soldi venissero raccolti proprio per il partito. Oppure può lamentare che il nostro Paese sia «agli ultimi posti quanto a libertà e pluralismo dell'informazione» a causa  dell'influenza di Berlusconi sui media, salvo poi far partire querele e minacciare una class action contro i quotidiani che lo criticano.  In occasione dei referendum dà il meglio di sé. Nel giugno scorso ha aizzato le folle perché andassero a votare contro la cosiddetta privatizzazione dell'acqua. Però nel 2008 e nel 2009 spiegava che per gestire al meglio le risorse idriche «dobbiamo chiamare qualcuno che sappia fare bene quel mestiere lì». E parlava apertamente di «partnership industriali per rafforzare la nostra capacità di gestione». Aveva persino preparato un disegno di legge praticamente uguale a quello contro il quale poi schierò il suo partito. Quando si dice la coerenza. Bis sul nucleare: referendum abrogativo cavalcato dal Pd, poi lo sputtanamento da parte di Wikileaks, che ha rivelato l'esistenza di un accordo fra Italia e Usa per la ricerca e lo sviluppo in materia di energia atomica. Venne firmato nel 2007 proprio da Bersani, allora ministro dello Sviluppo economico. Il quale non si è smentito (ovviamente smentendosi) neppure sul referendum per la legge elettorale. Prima freddino, quasi gelido, quindi costretto dalla base ad appoggiarlo, infine «ganassa» («devono ringraziare il Pd, le firme sono state raccolte col nostro sudore») per poi confessare, dopo la bocciatura della Consulta, che lui per quella campagna non aveva nemmeno firmato. Idee chiare anche in materia di economia. A settembre Bersani chiedeva a gran voce un nuovo governo senza Berlusconi, colpevole di far salire lo spread «oltre i 400 punti» e ridurre le imprese «con l'acqua alla gola». Ora sostiene il governo Monti fresco di declassamento e con lo spread a 500. E per farlo usa né più né meno gli argomenti dell'odiato Cavaliere: colpa dell'Europa, della dissennata gestione della Merkel e dei limiti imposti alla Bce. «La finanza», ha detto il 14 gennaio, dopo il taglio del rating all'Italia da parte di S&P, «boccia tutta l'Europa. Si dimostra che sul piano politico la A o la B la perde la linea Merkel-Sarkozy». Senza pudore. Ma nessuno dei suoi numerosissimi intervistatori glielo fa notare. Forse perché è il segretario del Pd. Anzi il segretario perfetto del Pd: un partito nato dal «ma anche» e cresciuto a pane e doppia morale. di Massimo de Manzoni

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