Il mistero del Regno Unito: perché ha ancora la tripla A?

Andrea Tempestini

Si potrebbe chiamare il miracolo di Londra. Nonostante gli innumerevoli problemi dell’economia britannica, in certi casi peggiori di quelli che attanagliano l’Italia, il Regno Unito continua a mantenere intatta la sua tripla A, la misura fondamentale della stabilità finanziaria di uno Stato. E questo diventa più insolito ogni volta che una serie di dati negativi descrivono un Paese che sta scivolando dritto verso la recessione. Ieri la nuova doccia fredda. Il Pil nel quarto trimestre del 2011 è sceso dello 0,2%, dopo il +0,6% del terzo trimestre. Gli analisti si aspettavano una contrazione più contenuta, ma non è stato così. Soffrono soprattutto il settore edilizio e quello industriale, decine di aziende giorno dopo giorno sono costrette a chiudere i battenti. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Sotto l’apparenza di un Paese che a differenza dell’eurozona sarebbe in grado di navigare oltre la crisi, c’è un bomba finanziaria che potrebbe esplodere da un momento all’altro. I fondamentali dell’economia, tanto amati dagli esperti, sono a dir poco allarmanti. La disoccupazione vola ai massimi da 17 anni: il numero dei senza lavoro è aumentato di 118.000 unità nel trimestre terminato a novembre 2011, portando il totale a quota 2,68 milioni. Il tasso di disoccupazione (in base agli standard dell’International Labour Organisation) è salito all’8,4% dall’8,3%. TRACOLLO Il Regno è così tornato indietro ai primi (e oscuri) anni ’90. Ma scendendo nell’analisi si incontra il problema più grande, che a molti rende incomprensibile la tripla A ancora assicurata a Londra. Proprio in questi giorni è stato annunciato che il debito pubblico, per la prima volta nella storia britannica, ha sfondato il tetto dei mille miliardi di sterline (circa 1200 miliardi di euro). In media ogni suddito di Sua Maestà porta sulle spalle un debito di 16.400 sterline. Un fardello al quale si deve aggiungere ben altro. Infatti, come sottolinea un rapporto di McKinsey Global Institute, il debito aggregato del Regno, pubblico e privato, è il più alto al mondo con quello del Giappone. Rappresenta il 507% del Pil, contro il 363% della Spagna, il 346% della Francia e il 314% dell’Italia. È molto interessante anche studiare la composizione di questa montagna. In Gran Bretagna si tratta in gran parte, per il 219% del Pil, di debiti accumulati dalle istituzioni finanziarie, contro ad esempio il 76% dell’Italia. Non parliamo poi della famiglie britanniche, che col 98% del Pil, sono fra le più indebitate al mondo, contro il 45% del Pil in Italia. Fino a oggi mentre Paesi come gli Usa e la Francia, per non parlare del nostro, sono stati declassati senza troppi complimenti dalle agenzie di rating, gli inglesi hanno evitato la scure di S&P e colleghi. Non si sa ancora per quanto Londra potrà resistere.  Lo dicono alcuni economisti, lo ha scritto l’agenzia Reuters.  Qualcuno avanza perfino il dubbio che ci sia una collusione tra le istituzioni finanziarie londinesi e le agenzie di rating, un accordo per tenere ancora alta la bandiera della tripla A sulla City. ATTACCO A CAMERON Il governo del premier David Cameron intanto tenta di difendersi dagli attacchi che arrivano da ogni parte. Viene messa in discussione la sua politica di tagli selvaggi che avrebbe indebolito l’economia nazionale. Lui risponde scaricando le responsabilità sull’euro, ormai capro espiatorio della crisi globale. Il primo ministro conservatore ha detto che questo risultato «non stupisce del tutto visto quanto sta accadendo nella zona euro e nel resto del mondo», assicurando che il governo andrà avanti con il programma di riduzione del deficit. Getta acqua sul fuoco mentre altri esperti, come quelli di Capital Economics, sostengono che il Regno è già tornato in recessione e che diventerà sempre più difficile sostenere livelli di debito tanto alti. Secondo l’analista Vicky Redwood, questi dati ci fanno ricordare «l’enormità di una sfida che non sarà facile da vincere per riportare sul binario i conti pubblici». Il destino del Regno, anche se i britannici non vorrebbero, è legato a doppio filo a quello dell’Europa. E per Cameron questa sarà la sfida più grande, per non fare la fine del comandante del Titanic che affonda con la nave. di Alessandro Carlini