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Monti firma il patto con Merkel Siamo sicuri che ci salverà?

Con il Trattato "Fiscal Compact" l'Italia si mpegna a portare il debito dal 120% del Pil al 60% in vent'anni

Lucia Esposito
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Con la firma dell'Italia sull'articolo del trattato «Fiscal Compact» che la impegna a portare il debito dal 120% del Pil al 60% in 20 anni e con un calendario rigido di abbattimento per anno di circa 40-45 miliardi, pena sanzioni, cadremo in una depressione irreversibile. Oggi i contenuti della bozza saranno del tutto chiari. La sensazione è che vi sia stata solo una cosmesi che non abbia toccato la sostanza voluta da Berlino. Pertanto è prioritario valutare se e come l'Italia possa evitare il suicidio economico imposto dall'irrazionale diktat rigorista della Germania. Altre parti del trattato sono dure, ma sensate, per esempio l'obbligo al pareggio di bilancio con legge di forza costituzionale. La dottrina economica sconsiglia rigidità assolute in un bilancio pubblico perché tolgono strumenti di aggiustamento e per interventi d'emergenza. Ma una nazione con debito al 120% del Pil deve riuscire a convincere il mercato che lo ripagherà. E il modo migliore per comunicarlo è rendere certo che il debito non aumenterà più nel futuro impedendo il deficit annuo nel bilancio. Ma se si attiva questo vincolo fortissimo, allora non è più necessario rendere rigido e depressivo il calendario di riduzione del debito. Un debito «inscatolato» si riduce ogni anno del 2-3% per effetto dell'inflazione. Il fatto di non farne più, se combinato con una riforma di efficienza economica che aumenta il potenziale di crescita, aumenta l'affidabilità del debito residuo rendendolo sostenibile, ovviamente al di sotto di certe soglie. Quali? Il trattato impone un tetto del 60% del Pil che non si capisce da quale calcolo venga fuori mentre gli studi in materia  individuano la soglia di sostenibilità attorno al 70-80%. In ogni caso, ovviamente, l'Italia ha la necessità di  ridurre il debito per riportare il costo degli interessi – dai 70 ai 90 miliardi annui – al servizio della crescita o via investimenti pubblici oppure, meglio,  via detassazione, ma deve poter trovare tempi e modi realistici e fattibili per riuscirci. In particolare, la possibilità di abbattere il debito attraverso una combinazione tra finanziarizzazione e vendita del patrimonio, soluzione che nel caso italiano è possibile per ben 800 miliardi, richiede la facoltà non condizionata di scegliere il momento giusto di mercato per le operazioni. In sintesi, la riduzione del debito richiede flessibilità. Il punto: la Germania non vuole darla all'Italia perché non crede che i nostri governi saranno capaci di fare né le riforme di crescita né operazioni patrimonio contro debito. Ha qualche ragione: la casta buropolitica non molla il bottino del patrimonio, le riforme di efficienza sono depotenziate da veti corporativi, da poteri oligarchici oscuri nonché da sindacati paleolitici. Ma la soluzione non può essere quella di togliere sovranità all'Italia costringendola per diktat a trovare ogni anno 40-45 miliardi per abbattere debito. Perché la reazione sarà o un movimento populista che chiederà l'uscita dall'euro per evitare l'impoverimento o la depressione irreversibile della nazione, per esempio a causa di strette fiscali continue per rispettare il trattato in un contesto dove la politica mantiene il modello statalista e non vuole mollare il patrimonio. Ritengo che la democrazia italiana abbia il diritto di pronunciarsi su questa tema e, soprattutto, quello di avere una chance per darsi un progetto di riordinamento sovrano. Per questo invito Monti, che sta tentando di attutire le condizioni dell'articolo, ma non ha voluto ancora dirci di quanto e come, di chiederne lo stralcio per un esame successivo dopo consultazione popolare, per altro firmando il resto del trattato. Capisco Monti, pur criticando la sua cedevolezza al Reich, perché deve pilotare l'Italia piena di falle tra gli scogli e in una tempesta. Ma  voi parlamentari e partiti che dovreste avvertirci di questo problema e darci informazioni e soluzioni dove cazzo siete, cosa fate? di Carlo Pelanda www.carlopelanda.com

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