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I giovani senza occupazione ma rifiutano 45mila lavori

Le imprese: non riusciamo a trovare commessi, camerieri, parrucchieri e informatici. Non è solo colpa dei contratti-capestro

Giulio Bucchi
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I giovani senza lavoro. In molti casi è colpa dei contratti capestro che sfiorano lo sfruttamento vero e proprio, ma spesso anche perché rispondo in pochi alle offerte delle imprese e il 52% di chi va ai colloqui è impreparato. Di seguito l'articolo di Francesco De Dominicis Posti di lavoro scoperti e posti di lavoro in nero. Due facce della stessa medaglia con cui deve fare i conti il Governo di Mario Monti. Proprio mentre è allo studio il discusso pacchetto di misure per l'occupazione, sul tavolo piovono numeri a volontà. Destinati ad alimentare polemiche, i dati della Cgia di Mestre. Secondo cui ci sarebbero ben 45.250 posizioni che i giovani rifiutano: vuoi  per il ridotto numero di candidati che hanno risposto alle inserzioni (circa il 47,6% del totale), vuoi per l'impreparazione di chi si è presentato al colloquio di lavoro (52,4%). Un flop a 360 gradi e, per certi versi, un paradosso. E chissà che fra i motivi non ci sia pure quella voglia dei giovani di «stare vicino a mamma e papà» denunciata nei giorni scorsi dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri. Una «frase infelice», come ha riconosciuto ieri lo stesso numero uno del Viminale che tuttavia è una mezza verità. Sta di fatto che mentre la disoccupazione cresce a ritmi sostenuti,  si rintracciano posizioni scoperte un po' in tutti i settori. Commessi (5.000), camerieri (2.300);  parrucchieri (1.800),  informatici e telematici (1.400), contabili (1.270),  elettricisti (1.250), meccanici auto (1.250), tecnici della vendita (1.100 posti); idraulici  (1.000); baristi (1.000). Il rovescio della medaglia è il nero. I controlli dell'Inps e della Guardia di finanza hanno portato portato alla luce 117.955 lavoratori finora sconosciuti alla previdenza e al fisco (in calo rispetto ai 150mila del 2010). E oltre la metà delle imprese passate al setaccio è risultata irregolare: su un totale di 244.170 ispezionate ben 149.708  sono risultate fuori legge. Una doppia fotografia che restituisce un quadro assai complicato nel quale, non c'è dubbio, è urgente intervenire. A spingere la riforma dell'Esecutivo ieri è scesa in campo l'Ocse.L'articolo 18, ha detto il segretario generale dell'organnizzazione con sede a Parigi, «non è il punto fondamentale» della riforma  allo studio in Italia: in realtà, ha spiegato Miguel Angel Gurria , «si parla di flessibilità ma anche di reti di protezione per chi oggi non ce l'ha, e di reinserimento nel mercato del lavoro». Per il ministro del Welfare, Elsa Fornero, non sarà facile raggiungere la sintesi tra le varie posizioni delle parti sociali. Sulla questione dei “licenziamenti facili” (articolo 18) Susanna Camusso mantiene la linea dura.  «Il problema - ha dichiarato il capo della Cgil - non è se il posto è fisso o non è fisso: il posto per ora non c'è. L'emergenza è questa e non si deve colpevolizzare la ricerca del lavoro sotto casa». Più concreto e pragmatico il   segretario  della Cisl, Raffele Bonanni, che auspica una crescita dell'economia che perti più lavoro per tutti» perché «pure quello flessibile non c'è». Una delle ipotesi in campo prevede l'aumento delle tutele in caso di perdita del posto di lavoro. Così, preoccupato per eventuali nuovi oneri sulle aziende, Marco Venturi, segretario di Rete Imprese, ieri a palazzo Chigi, ha detto chiaro e tondo che eventuali interventi sull'articolo 18 «non dovranno ricadere sulle imprese» con l'introduzione di «insostenibili aggravi di costi». di Francesco De Dominicis  twitter@DeDominicisF

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