A Sanremo trionfa la sfiga: cuori a pezzi e mutui

Lucia Esposito

Sanremo specchio dell’Italia, di quella in crisi in molti campi: in amore, nella fede, nella società, nel conto in banca, nei rapporti familiari, nel sesso. Tutto questo cantano i quattordici big in gara, da martedì, all’Ariston. Latitano ironia e spensieratezza nei testi, affogati nella malinconica certezza che, da qualunque lato lo si guardi, il nostro quotidiano è soltanto in salita. Un Festival da anni di piombo. Eugenio Finardi. Il buon Finardi lascia le musiche ribelli e si butta sul religioso, lui che è ateo sino al midollo. Lo spirituale Eugenio dimentica bestemmie e fa pace (con Dio? con se stesso?) chiedendosi: «E tu lo chiami Dio? Io non do mai nomi…». AGNOSTICA. Emma. Momenti di tensione e difficoltà economiche in Non è l’inferno. Lei è brava, ci mette il cuore e la voce quando urla di un figlio «che a 30 anni teme il sogno di sposarsi», tra denunce sociali e riflessioni. Punta alla vittoria la bionda che prenderà di petto l’Ariston. RIBELLE. Noemi. Canta alla Vasco un bel pezzo che, però, è di Fabrizio Moro. Il venerdì arriverà Gaetano Curreri a darle una mano. Sono solo parole è un racconto amaro di una donna che fatica a tenere in piedi un amore. Domina l’incomunicabilità. DOLENTE. Carone-Dalla. Nanì è una ballata che al suo autore, Lucio Dalla, ricorda l’epocale 4 marzo 1943. Qui un poveraccio vorrebbe fare all’amore con la ragazza desiderata ma c’è un piccolo problema: “lei” fa il mestiere più antico del mondo e non gliela dà mai! («Dimmi perché tu ami solo gli altri e io amo solo te»). SFIGATISSIMA. D’Alessio-Bertè. Canzone furba e graffiante, cucita da Gigi sulla voce e sulla personalità di Loredana. La quale fa autoanalisi («Sono maledetta, questo sì lo so…») ma convince assai. Respirare mira alto. AMBIZIOSA. Nina Zilli. La stangona di Piacenza, bella e brava, con i suoi tratti caucasici fa un tuffo nel passato e rispolvera atmosfere da Rai anni ’60. Lei un’ottimista nata, il brano Per sempre no, è in linea con gli altri, è malinconico. Per ammissione di Nina trattasi di una canzone STRAPPAMUTANDE. Chiara Civello. Dopo aver rischiato l’eliminazione, Al posto del mondo ci racconta la febbre che sale quando si spasima per l’altra metà. Finirà bene la vicenda? Boh… Bella la fisarmonica che strofina i sentimenti. Timbrica jazz, quella di Chiara. INTELLETTUALOIDE. Francesco Renga. Voce tonante e pulita per La tua bellezza, strafavorita secondo i bookmaker. Bellezza intesa come antidoto alla bruttezza fisica e morale. Un brano che unisce le generazioni e si conficcherà nel tetto dell’Ariston (dove c’è la sala stampa). PALPITANTE. Samuele Bersani. L’originale Un pallone è la metafora di un mondo in crisi (e ti pareva!) con l’artista bolognese che finisce per ammettere: «Ci vuol coraggio a mantenere la calma adesso…». Il pallone, difatti, è bucato. ICONOCLASTA. Arisa. L’ex giudice di X Factor presta la voce a La notte, brano che narra di una ragazza confusa alle prese con un amore che - ovviamente - finisce male. Anche se «la vita, poi, continuerà, continuerà…». CREPUSCOLARE. Irene Fornaciari. La Zuccherina presenta Grande mistero, brano fin troppo easy, firmato da Van De Sfroos. Si parla di un futuro incerto e di pipistrelli. Duetto Vip col grande Brian May. Convincerà, stavolta? ANSIOGENA. Dolcenera. Pochi soldi, mutui da pagare e appartamenti da abitare per la cantante toscana che, con Ci vediamo a casa, cerca una futuribile identità artistica. REALISTA. Matia Bazar. Due Festival vinti, il debutto nel lontano 1977 e, ora, il ritorno con Silvia Mezzanotte come voce della band genovese. Atteso il duetto con Al Jarreau e l’arrivo di Platinette, il venerdì. In Sei tu c’è un uomo assai bastardo («Baci come spine… Cieli di cristallo senza più poesia»). TORMENTATA. Marlene Kuntz. Sono lo schiaffo alternative-rock al Festival. Il brano Canzone per un figlio è una lettera scritta da un padre che teme e spera per l’erede («La felicità sorride attonita…»). Duetto hard con Patti Smith. INQUIETA.