Paragone: Ecco perché Abba non è né un martire né un eroe

Giulio Bucchi

La situazione è tranquilla, non ci sono tensioni». Così Luca Abbà aveva parlato con i compagni di Radio Black Out quando già era sul traliccio alto dieci metri e prima di precipitare giù a seguito di una scarica elettrica. Già, perché sui tralicci dell’alta tensione le scariche elettriche non sono né un’arma in dotazione alle forze dell’ordine né un’opzione sciagurata dello Stato contro i manifestanti, bensì sono un fatto del tutto naturale nel senso che servono per quello: i tralicci fanno passare i fili dell’alta tensione. Insomma se c’è qualcosa che non andrebbe fatto è scalarli a scopi dimostrativi. Allora uno si domanda: perché abbarbicarsi fin su in alto? Per dire no alla Tav, mi risponderebbero i contestatori. I quali dopo aver zittito il giudice Caselli, dopo essersi scontrati con le forze dell’ordine e dopo aver conquistato il traliccio dell’alta tensione, non so cos’altro possono inventarsi per bloccare l’opera. Ammetto che non ho pregiudizi contro il movimento No Tav, mi è capitato di parlare con molti di costoro e persino di trovarmi d’accordo su alcune perplessità legate all’opera (l’aeroporto di Malpensa potrebbe servire quanto meno come monito per pensarci bene). Non è però questo il punto. Il punto è altro e duplice: 1) fin dove può arrivare la protesta; 2) quanta zizzania pseudopolitica c’è nel campo della contestazione. Luca Abbà sale sul traliccio, poi la tragedia Guarda il video su LiberoTv «Ce l’ho fatta a fargliela sotto il naso un’altra volta», commenta euforico Abbà riferendosi alle forze dell’ordine, cioè a quei poliziotti che il conduttore della radio chiama con disprezzo «sbirri». È lo scalpo di chi rappresenta la legalità a diventare il bersaglio della contestazione. «Venite in tanti», esorta il giovane, da capo rivolta quale è sempre stato. Tutta roba che non c’entra nulla con la Tav in sé, con le riflessioni sull’utilità, sul rapporto costi-benefici, sul tracciato e sull’impatto col territorio. È come se le riunioni di contenuto fossero servite a fornire il pretesto della rivoluzione. Perché di questo vorrebbero che si trattasse: di una rivoluzione. Contro chi? Boh. Contro tutti, forse. Contro lo Stato, contro le forze dell’ordine, contro i magistrati, contro la politica. Insomma solo loro sono nella parte del giusto. Quindi si occupa, si fa la rivoluzione, si sale sui tralicci per diventare un simbolo di ribellione. Esattamente come Giangiacomo Feltrinelli, il cui gesto finì in un modo che noi speriamo non capiti a Luca Abbà. L’importante è esagerare, fargliela sotto il naso. E poco importa se lo stesso ragazzotto poco prima avesse ammesso – l’audio è in rete, basta ascoltarlo – che la situazione era sotto controllo, nel senso che le forze dell’ordine erano ben lontane da una qualsiasi azione di forza. Allora perché alzare l’asticella con questi gesti dimostrativi? «Se cercavano il morto, ci sono quasi riusciti», s’è lasciato scappare Alberto Perino un altro leader No Tav della prima ora. Una frase senza senso alcuno, perché Perino dovrebbe dire chi cercava il morto, come lo cercava e perché. Nessuno ha spinto Abbà su quel traliccio, ci è andato da solo per dare concretezza al celodurismo della protesta. Sono frasi senza senso, provocatorie, buone solo a riscaldare gli animi di una conflittualità che non porta a nulla. Se in Val di Susa qualcuno pensa davvero di provocare uno scontro sociale per un pugno di voti in più oppure quello scontro lo sogna per tornare giovane, beh non sarà certo immolandosi contro l’Alta velocità che vedranno ingrassare le file della loro rivolta. Nel Paese ci sono problemi ben più gravi, legati al lavoro e a come i poteri forti stanno dettando l’azione del governo. Non è salendo su un traliccio o lanciando i lacrimogeni contro i militari o ancora negando il diritto di parola a chi non la pensa allo stesso modo che la Tav vedrà o non vedrà la luce. È più facile infatti che l’Alta velocità non venga mai ultimata per mancanza di soldi o per intoppi burocratici o ancora perché il gap infrastrutturale non si colma con cattedrali nel deserto come l’aeroporto della Malpensa, ucciso su commissione. Di tutto questo ovviamente non si parla e né se ne può parlare perché un rivoluzionario si appende ai fili dell’alta tensione per dimostrare che non ha paura di nulla. La storia, messa così, si ripete in un cliché miseramente stupido, con richiami a Feltrinelli, a Pasolini che difendeva i poliziotti e a stagioni tra l’altro fallite. di Gianluigi Paragone