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Cav-Casini, vicini in Europa Divisi su tutto in Italia

Berlusconi torna protagonista nel Ppe: domani insieme a Pier per il summit a Bruxelles. Ma invece in patria...

Andrea Tempestini
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In Italia litigano, ma domani siederanno accanto a Bruxelles, entrambi invitati in qualità di leader di partito al summit politico del Ppe. Sono Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini. Entrambi attesi dal presidente del Partito popolare europeo Wilfried Martens al pranzo (lungo: dalle 13 fino alle 17 del pomeriggio) con i capi di governo e i leader d'opposizione aderenti alla famiglia moderata. All'Academie Royale de Belgique arriveranno tutti pezzi da novanta: il presidente della Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso. E ancora: il capo di Stato francese Nicolas Sarkozy, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy. Non che gli italiani siano micio-micio e bau-bau: alla fine Berlusconi è il capo del primo partito, in termini numerici, della maggioranza trasversale che sostiene il governo tecnico, mentre Casini è il leader dell'area più convinta (il terzo polo) nel supporto all'azione dei professori. Vero:  i due non hanno molto da aggiungere sul tema del summit - la preparazione del consiglio europeo dell'1 e 2 marzo -, la posizione italiana è decisa  autonomamente da Mario Monti. Ci sarebbe la questione dell'unione dei partiti moderati italiani che aderiscono al Ppe, argomento di interesse per i partner europei. Ma è la cosa su cui Silvio e Pier continuano a beccarsi. Allora meglio non intavolare proprio il tema. Il fatto è che sia l'uno che l'altro vogliono essere al volante, nessuno intende accomodarsi sul sedile posteriore, quello del passeggero. Berlusconi, dopo aver lasciato Palazzo Chigi, considera il suo ultimo (ultimo?) obiettivo politico la costruzione della casa comune dei moderati, lavoro che non gli è ben riuscito con il Popolo della Libertà. Casini considera la leadership berlusconiana come qualcosa di già consegnato alla storia, aspetta che arrivi il colpo di grazia al Pdl con le elezioni amministrative, poi sarà lui a raccogliere i cocci della lista che, nel 2008, superò il 38 per cento. Altri tempi. Adesso che gli azzurri oscillano, nei sondaggi, tra il 22 e il 24 per cento, quelli dell'Udc fanno sapere che avevano provato a proporre alleanze locali tra liste civiche, come superamento della toponomastica politica attuale, ma Berlusconi non ha potuto privarsi del simbolo, causa la reazione scandalizzata del suo partito. Non se n'è fatto nulla e ora ci si continua a dividere. Con Angelino Alfano che molla Bossi («Tra la Lega e l'Italia, abbiamo scelto l'Italia») e auspica il matrimonio coi post Dc («I moderati italiani sono la maggioranza, uniti si vince»). E con Casini che risponde picche: «L'unità dei moderati è un valore importante se si è moderati, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da populismo e demagogia». Porta chiusa in faccia.  Allora la “cosa bianca” rimane nel cassetto. Andrea Ronchi prova a sensibilizzare gli ex An sull'argomento: «Il tempo stringe, basta con le parole e gli slogan, costruiamo il centrodestra moderato», ma non tutti gli ex An, presenti ieri a un convegno organizzato dall'ex ministro, sono convinti che sia la cosa giusta. Il fatto è che pesa, nel dialogo con il terzo polo, la presenza della componente di Fli: i postmissini non vogliono avere più nulla a che fare con i camerati andati via con il presidente della Camera. D'altronde, anche scorrendo il programma di Orvieto, consueta scuola di formazione promossa dagli ex Forza Italia (in programma dall'8 al 10 marzo), non ci sono ospiti provenienti da dall'area centrista, cioè quella guidata da Casini, Fini e Rutelli. C'è Luciano Violante, c'è Michel Martone, ma neanche un Adornato o un Buttiglione. E se questi non si parlano neanche ai convegni, stanno messi male... di Salvatore Dama

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