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Facci: Che vergogna gli applausi al funerale di Dalla

Un funerale non è uno spettacolo ma una cerimonia: i morti, anche quelli mediatici, si salutano con il raccoglimento

Lucia Esposito
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La mia più grande vergogna di italiano sono gli applausi ai funerali, abitudine spaventosa che si è ripetuta mentre il feretro di Lucio Dalla lasciava San Petronio. I sociologhi possono anche farmi una pippa così e raccontarmi che trattasi di consuetudine di chiara derivazione televisiva, roba che una volta non c'era: il primo applauso a un funerale pubblico pare che l'abbia beccato Anna Magnani nel 1973. E infatti non è una cultura, è un'incultura: non è un indotto della storia, ma di Domenica In. Ma dovrebbero spiegarmi perché questa cosa esiste solo da noi, come quell'altro orrore che è l'applauso mentre atterra l'aereo. Hanno applaudito la salma di Berlinguer, quella di Moro, quelle di Nassirya, Falcone e Borsellino, persino Giovanni Paolo II: i pellegrini di tutto il mondo rimasero agghiacciati e increduli. I morti non si applaudono, neanche quelli mediatici. Alla fine del Requiem di Mozart non si applaude. Wagner proibì gli applausi anche alla fine del Parsifal. Non c'entra la religiosità: il raccoglimento è anche laico e pagano, se non reggi la tensione, se la temperatura spirituale è per te inaccessibile, allora stai a casa. Se devi esorcizzare la paura della morte, beh, vai a farti un giro. La buona fede non salva l'ignoranza: un funerale è un rituale, una cerimonia. Provate ad applaudire a un funerale di un marines: i funerali diverranno due.  

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