Boni non è solo un pirla padano

Lucia Esposito

Davide Boni, presidente del consiglio regionale della Lombardia indagato per corruzione, come Alessandro Patelli, il segretario amministrativo del Carroccio finito nell'inchiesta di Tangentopoli insieme ai tesorieri socialisti e democristiani per aver partecipato alla spartizione della maxi tangente Enimont, un bottino di svariati miliardi incassato dai partiti della prima  repubblica. A lui andarono 200 milioni delle vecchie lire, ammise di averli presi e per questo, come ricorda il direttore di Libero Maurizio Belpietro, Bossi gli affibbiò un titolo che gli rimase appiccicato: pirla. Non si sa se per avere incassato o per essersi fatto beccare. Su Boni, però, s'addensa qualche nube in più. Secondo i pm, ci sarebbe un "sistema Lega", un giro di un milione di euro di bustarelle in cambio di appalti e quei soldi non sarebbero finiti al solo presidente del consiglio regionale, ma a tutto il partito. Sospetti, tutti da dimostrare. Quel che è certo, è che dal 1992 ad oggi il Carroccio ha cambiato pelle, diventando partito nazionale con egemonia al Nord in amministrazioni locali, grandi città, province, regioni. In questo senso, è statisticamente più facile che si trovino le mele marce. Il sospetto, conclude Belpietro, è che anche tra i duri e puri della Lega ci sia chi è rimasto duro ma un po' meno puro. All'ombra dello spadone di Alberto da Giussano girano troppi soldi e troppi interessi: meglio far luce. E nel partito scoppia la faida