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Leggi i versi della poesia di Pier Paolo Pasolini

Santoro non vuole far leggere a Belpietro i versi di Pasolini: li pubblichiamo sul nostro sito

Nicoletta Orlandi Posti
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Nell'ultima puntata di Servizio Pubblico, il programma di Michele Santoro, tra il teletribuno e il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, sono stati fuochi d'artificio. (guarda il video dello scontro su LiberoTV) Si parlava di No-Tav, delle proteste, delle violenze dei manifestanti e delle forze dell'ordine. Belpietro si scontra con Casarini e gli ricorda che già nel 1968 Pier Paolo Pasolini puntava il dito contro i ragazzi viziati (i manifestanti) che si scagliavano contro onesti lavoratori (i poliziotti). Santoro interviene per affermare che questi versi di Pasolini vengono sempre citati in maniera incompleta. Belpietro vorrebbe leggerli in diretta, il teletribuno invece no. "E' perché parlano dei giornalisti della televisione che hanno leccato il culo a chi protestava contro gli agenti", tuona Belpietro. Ma la musica non cambia. Il tempo per leggere quei versi non viene trovato. Quindi li riportiamo sul nostro sito. Seguono i versi scritti nel 1968 da Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel giugno di quell'anno da L'Espresso e poi raccolti negli Scritti Corsari. "I figli di papà non cambiano mai": il videoeditoriale di Belpietro su LiberoTv È triste. La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, figli. E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati... Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino, o tenera, per qualche malattia, come un uccellino; i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, e lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti ('essere odiati fa odiare). Hanno vent'anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici. di Pier Paolo Pasolini

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